Quando la musica è una questione talmente privata da diventare pubblica discussione

Quando la musica è una questione talmente privata da diventare pubblica discussione

Stanotte ho fatto un sogno. Si lo so è una formula abusata. Dal discorso di Martin Luther King a Paolo Rossi (no, non il calciatore). Ma quanto sta che stanotte ho fatto un sogno. Invitavo a casa mia Dino del Paniere per fargli sentire dei dischi, si vinili, musica che volevo fargli conoscere per il locale. Solo che una volta che era li non riuscivo a trovare nulla che non conoscesse, solo cazzate terribili. E in più lui continuava a fare la cronaca del pomeriggio come se fosse stato un dj radiofonico.

Mi sono svegliato alle 3.38 che mi scappava una gran pisciata, il the verde. Ho acceso la radio, come faccio spesso, per riaddormentarmi dopo sogni che mi turbano. Per una volta non ho avviato una radio in streaming americana. Adoro quel fascino li della radio country dell’Alabama o di quella blues dell’Alaska. Ma stanotte no. Ho acceso su AM900, ergo Radio1 e neppure in FM.

Si in modulazione di ampiezza e non i modulazione di frequenza. Il suono ha ancora quell’aura da albori. Secco, senza stereofonia, che pare Radio Londra. Che poi al mattino alle 6 fanno l’Inno Nazionale. Avevo bisogno di qualcosa di rassicurante e codificato. Dove nulla potesse essere nuovo o sfuggire. Ci sarebbe voluto il Bollettino dei naviganti, ma anche un Onda Verde è andata benissimo.

Viaggiare (informati) sapendo cosa succede attorno a te e verso lidi conosciuti e con compagni stabili. Quello che è iniziato oggi è un settembre fottutamente metallico. Nel giro di una manciata di giorni escono dischi di una serie di band storiche. Che forse da anni non hanno davvero più nulla da dire. Ma che sono compagne di strada di una vita: Motorhead, Iron Maiden, Slayer… giusto per fare tre nomi.

Ieri sera prima di addormentarmi ho risentito in vinile Seven son e Powerslave degli Iron. Ma distrattamente. Tanto li conosco nota per nota. Una sorta di copertina di Linus della sicurezza musica. Anche nei gesti. Seven son poi mi ricorda quando per la prima volta misi piede nella stanza che è la mia stanza, nel 1988, periodi di trasloco. C’era solo lo stereo e quel disco. Ascoltato tipo 11 volte di fila una sera guardando per la prima volta i miei tetti.

Continuo a dire che non faccio più ricerca. Che la musica che ascolti da adulto è la stessa che ascoltavi da ragazzo. Che continui a reiterare le stesse cose. Non so se è vero. Nel pacchetto che attendo da Amazon con i dischi di Iron e Motorhead ci sono anche i cd di Flo Morrisey, giovanissima singer, ha solo vent’anni, inglese ma che pare americana e dei Banditos, band dell’Alabama all’esordio tra country e rock. Nulla di nuovo sotto il sole per carità. Non cerco lo sconosciuto duo indie che fa musica solo con le tastiere (mi sono bastati i Suicide nel 1977).

Che centra tutto questo: il sogno, la radio, i miei acquisti, il settembre metal? Non l’ho ben chiaro. So che volevo scrivere questo pezzo perché prima della fine mettendo in fila le idee ero certo che si sarebbe trovato un senso.

Ma forse manca ancora un tassello. Alberto dei Verdena che un paio di sere fa ha sfasciato la sua Fender Jaguar perché non gli veniva bene la canzone. Cosi, al terzo pezzo, come un pirla, facensi anche male. Sono tre giorni che i fan lo insultano, grazie anche alla richiesta che qualcuno gli prestasse una vhtarra per il concerto del giorno dopo. Eppure quando le chitarre le sfasciava Pete Townshend era una cosa mitica. Uno di cui ho appena letto l’autobigrafia, ed è un libro toccante per quanto senza pelle, e che in una recente intervista ha detto: “Sono abbastanza vecchio, saggio e stupido da potermi permettere di dire tutto quello che mi pare”.

Così mi sento. Abbastanza fuori parte per poter dire quello che mi pare. No dico tranquilli scremzini e birrotechi che non ho intenzione per sto giro di tirarvi contro. Mi sono anche un po’ rotto le balle di farlo. E’ che la musica alla fine è una faccenda dannatamente privata, ma anche dannatamente pubblica. Forse per quello non riuscivo a trovare il bandolo emozionale nel sogno. Forse per quello in questo mese, per me settembre da sempre è un mese difficile (non so perché ma è cosi) mi consola l’idea di tante cose nuove eppure codificate e mie. Quante volte da ragazzo “mi sono salvato” attendendo l’uscita di un disco nuovo. E quanto vorrei che The book of soul fosse un capolavoro come non se ne sentono dal 1988 in casa vergine di ferro. Ma lo scrissi già nell’occasione dell’attesa dell’uscita di The Endless river dei Pink Floyd, già avermi regalato il piacere dell’attesa come a 16 anni è tanto.

Si può pretendere altro? Si possono pretendere emozioni che si provavano da adolescenti? Non lo so. Lasciatemi che devo scartare l’ultimo disco che ho preso e metterlo sul piatto.

Emanuele Mandelli

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