Senza averlo preteso, sa d’incutere paura. La pagina bianca attende con pazienza, consapevole delle sofferenze che le saranno inflitte perché, suo malgrado, è la depositaria di una cosiddetta “conoscenza tecnica” che si chiama “scrivere”. Sa di essere destinata a diventare l’elemento di trasmissione di un fatto culturale, sia esso un saggio oppure una storia. Soffre, anche fisicamente, perché riceve sulla propria superficie una serie di “incisioni” che rappresentano “segni convenzionali” intesi alla formazione di parole e che, si presume, altri leggeranno. Ma soprattutto prova pena perché sulla sua “pelle” verrà riprodotta una successione di lettere che formano parole e di parole che costruiscono frasi, concetti, idee.
Pochi sanno che la pagina bianca, almeno quella che non si rassegna a raccogliere i semi della follia umana, vive attimi di orgasmo travolgenti. Succede quando lo “scrittore”, alla terza riga, in preda allo sconforto derivato dall’aridità creativa, l’appallottola, la stropiccia, l’accartoccia con rabbia e poi la butta nel cestino. Un piacere masochistico che non si esaurisce nella sola violenza subìta, ma che prosegue dentro il canestro che già ospita altri fogli deflorati da “incipit” deplorevoli.
Beppe Cerutti