Ho aspettato qualche giorno a scrivere questo articolo, un’attesa voluta per capire i toni dei giorni dopo Cremona. Giorni di riflessione, stanchezza, amarezza e sentenze. Sentenze giuste o meno, sentenze di chi come me c’era e purtroppo sentenze di chi è stato a casa e non ha potuto vedere l’orrore e il fallimento di quella che poteva esser una manifestazione pacifica. Ho vissuto l’esperienza del corteo insieme al mio amico Johnny Feccia (così chiede di essere citato nell’articolo) e provo a raccontare con ordine il nostro pomeriggio di caos.

Arriviamo alle 16 a Cremona e parcheggiamo in via per Castelleone per dirigerci a piedi verso il centro. Troviamo la città in uno stato insolito di tranquillità per un caldo pomeriggio di sole di fine settimana: poche macchine, qualche famiglia a passeggio e molti i negozi chiusi.

Arriviamo in stazione e ci rendiamo conto di quanta tensione ci sia nell’aria: decine e decine di blindati dei carabinieri i quali erano tutti in tenuta antisommossa. Un gruppetto di celerini parla distrattamente davanti ad un bar, non sono discorsi bellissimi quelli che sento. Con un filo di preoccupazione ci muoviamo in direzione di Via Palestro dove un vigile ci informa che il corteo deve ancora partire.

Sempre grazie alla polizia municipale riusciamo a raggiungere la folla in Via Trento e Trieste. L’atmosfera che si respira è quella di una grande festa: siamo verso la fine del corteo e non riusciamo a quantificare il numero di  persone che abbiamo davanti. Bandiere rosse e cori urlati a squarciagola, cuore e anima quando tutti insieme abbiamo cantato “Bella ciao”. Duemila persone e un solo pensiero.

Ad un certo punto il corteo si arresta: tutti ci chiediamo che cosa sta succedendo, ma basta aspettare poco più di 5 minuti per capire tutto. Dalla testa della lunga lingua di gente iniziano a vedersi i fumi rossi dei fumogeni e boati che rimbombano nello stomaco rompono il clima di festa di pochi istanti prima. Un elicottero vola a venti metri dalle nostre teste e le notizie di chi continua a fare avanti e indietro per Via Trento e Trieste sono chiare: poco più avanti al punto degli scontri c’è la sede di CasaPound e un centinaio di persone stanno cercando di sfondare il cordone della celere.

Dopo una mezzora di attesa inutile di avanzare io e Johnny Feccia decidiamo di lasciare il corteo e da una trasversale riusciamo a raggiungere Via Dante ma qui gli scontri sono molto più vicini a noi di quanto pensassimo. Chiediamo ancora informazioni ai vigili ma ci dicono che è impossibile andare oltre la stazione: in quel momento la ricetrasmittente del vigile squilla una voce dall’aria allertata e in fretta ci consiglia una strada che potrebbe riportarci alla macchina mentre lui inizia a indietreggiare preoccupato e spaventato.

Torniamo per un istante in Via Trento e Trieste più vicini ancora al luogo degli scontri: l’aria è irrespirabile. Un fumo strano dal forte odore di bruciato ci infiamma le narici e gli occhi: i lacrimogeni sparati dalla celere. Per molte vie lottiamo a respirare con la kefiah sopra a naso e bocca; una ragazza corre spaventata e ci avvisa di stare attenti a quelli di CasaPound che sono in giro per le vie della zona. Finalmente riusciamo a trovare una strada che ci riporta verso i giardini pubblici davanti alla galleria. In Corso Campi incontriamo un nostro amico soresinese con tanto pelo sullo stomaco e una passione virale per la fotografia. “Sono stato in mezzo tra il corteo e la polizia! Guardate qui che foto ho fatto!”. In un attimo capiamo tutto… i black block.

Torniamo alla macchina con molta tristezza nel cuore. Siamo partiti in un corteo di pace, con voglia di manifestare la nostra idea ma per colpa di un centinaio di fanatici questo non è stato possibile. La più grande vittoria sarebbe stato passare a pochi metri da CasaPound a pugni alzati e a cantare e urlare il nostro disprezzo per il fascismo e per i fascisti.

In tanti ci hanno rimesso la faccia per tutte le notizie che abbiamo letto o sentito su testate o telegiornali nazionali. Erano presenti tante associazioni quali Arci, ANPI e No TAV. Insomma tutto ciò che era in previsione si è realizzato e il risultato è stata una dura sconfitta politica e morale per tutti. Mi sono sentito vittima di una forma di fascismo interna al corteo che mi ha impedito di manifestare liberamente il mio pensiero antifascista. Se si voleva organizzare una manifestazione dichiaratamente guerrigliera magari sarei stato anche favorevole, ma spacciare un corteo pacifico per un tentato assalto è stata un’occasione persa per far capire all’opinione pubblica che siamo nella parte del giusto.

Chiudo l’articolo augurando a Emilio e alla sua famiglia il meglio, cosa che tra politica e ideologie è andata un po’ persa. Per le tante persone deluse come me non resta altro che stringere i denti e resistere come sempre alle tante ingiustizie della società attuale… ancora…

Pier Solzi

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