Questa è la storia quasi vera di Agostino detto mani di fata e più tardi anche piedi di velluto, classe 1922, forse, comunque giù di lì, briss più briss meno…
Perché quasi vera?
Ricostruire una leggenda non è facile e a lui, quando era preso nel vortice della danza, rigorosamente ballo liscio, gli si alzava il termosifone. Il tipo era di quelli fatti con pasta dura, utile alle braccia, un po’ meno alla testa se non gli davi il tempo di lievitare per bene: questo agli inizi della carriera. Per dire, quando era a scuola, alla maestra mica gliele mandava a dire: “Ma quale cavallina storna! Se la bestia è stordita, l’accoppi, ci fai le bistecche e morta lì! Colui che non ritorna? Si va a cercarlo nelle osterie, magari al casotto! Star qui tanto a menarla con uno che oltre tutto di cognome si chiama Pascoli… Se non la conosce quello lì la campagna, non so io…”
“Agostino! Esci immediatamente dall’aula!”
Tutti sapevano che sarebbe andato in cortile.
Il compagno di banco non lo perdeva d’occhio: “Ago… nella giacca, fuori, sull’attaccapanni… ci sono due mollette di legno buono, di quelle per stendere i panni, e anche un paio di carte da briscola… Di quelle nuove.” Perché a quei tempi “Ago” aveva anche la magica capacità di trasformare una bicicletta prossima alla rottamazione in una motocicletta dal rumore ruggente: “Cinque centesimi…” Quei cartoncini messi di traverso ai raggi della ruota anteriore delle bici, al suono dell’ultima campanella, riempivano di rumore il cortile della scuola, che sembrava di essere in mezzo a un alveare.
A cinque centesimi alla volta Agostino divenne un artigiano della madonna. Sempre convinto che la cavallina storna del signor Giovanni Pascoli sarebbe stato meglio “copparla”, imparò a tirar su case, riparare lavandini, metter mano a impianti elettrici, risuolare scarpe e costruire aquiloni. Quello che aveva fatto per sé era invece il più bello: s’era riempito dei colori del ballo liscio. Perché, diceva, ogni figura danzata ha le sue sfumature e ballare il tango con un abito lungo e stretto, cara la mia fieoula, è una gran cazzata.
Beppe Cerutti