Negli ultimi giorni riecheggiano alcune considerazioni (a modesto parere di chi scrive) di ampio contenuto umanistico/filosofico ma di poca rilevanza pratica.

Il cosiddetto obbligo di fedeltà viene oggi dipinto come un obbligo vetusto, residuo di una moralità antica e che nulla avrebbe a che fare con quello che siamo soliti chiamare “progresso”.

Siamo liberi di vivere e pensarla come vogliamo, questo è vero. Ma per farlo al meglio è bene conoscere il contenuto reale e pratico del cd. “obbligo di fedeltà” contenuto nell’art. 143 c.c.

Si deve tener presente che il cd. “progresso” ha avuto anche ad oggetto l’evoluzione giurisprudenziale e casi eminentemente pratici.

Ma il senso comune ci suggerisce che la fedeltà è la sola fedeltà sessuale.

Allora è utile portare alcuni esempi di pronunce giurisprudenziali che spiegheranno il rilievo dell’obbligo da una parte e il contenuto reale dello stesso dall’altra.

  1. Il vero rilievo dell’obbligo di fedeltà

Poiché gli obblighi che scaturiscono dal matrimonio (e che sono specificati dalla legge come sussistenti) hanno importanza normalmente in caso di separazione/divorzio (proprio perché se un rapporto è in crisi vuol dire che qualcuno ha fatto qualcosa che non doveva fare in quella particolare coppia), è necessario verificarne la loro rilevanza pratica.

L’obbligo di fedeltà sessuale non è una costante nei rapporti di coppia in realtà e questo aspetto è ben chiaro ai giudici.

Recente pronuncia della Cassazione ha sancito quanto segue: In tema di separazione tra coniugi, nonostante la pronuncia di addebito non si possa fondare sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 cod. civ. pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, il venir meno all’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente attraverso una relazione extraconiugale nel cui ambito sia stata generata prole, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cassazione civile, sez. I, 17/01/2014,  n. 929).

In questo caso veniva accertato che la crisi coniugale era stata causata da una relazione extraconiugale avuta dal marito in costanza di matrimonio e dalla quale era stata generata prole.

Ne consegue che, anche fosse stato violato l’obbligo di fedeltà sessuale, ma la crisi coniugale non fosse stata dovuta alla relazione extraconiugale, non vi sarebbe stata pronuncia di addebito della separazione nei confronti del marito.

Conforme anche la pronuncia della Cassazione civile, sez. I, 23/05/2008,  n. 13431, ove si legge: deve sussistere il nesso di causalità fra l’infedeltà e la crisi coniugale.

Inutile dire che non si tratta di pronunce isolate, ma di un vero e proprio orientamento.

Quanto sopra chiarisce che la cosa importante per la giurisprudenza (e quindi a lato pratico) non è l’aspetto morale (se vogliamo cattolico/tradizionale), ma solo il fatto che il tradimento abbia effettivamente causato la crisi di coppia.

Ne scaturisce che l’obbligo di fedeltà sessuale è importante a lato pratico per le coppie da cui è effettivamente percepito come tale. Per gli altri non genererà alcun addebito, alcun rischio perché è intuibile che se i coniugi non considerano importante la fedeltà sessuale, allora non potranno millantare che la crisi sia scaturita dall’infedeltà sessuale.

Bisogna riflettere sul fatto che nel caso sopra citato, in mancanza della previsione di cui all’art. 143 c.c., anche ove i coniugi avessero avuto ben presente che tra loro non era tollerata l’infedeltà, il marito (con altra relazione ed altra prole) forse non avrebbe conosciuto conseguenza alcuna. Forse la moglie non avrebbe avuto il diritto di rivendicare la colpa del marito a prescindere. Non sarebbe stata forse un’imposizione troppo forte per la moglie da parte della legge?

La domanda non è provocatoria, ma è un interrogativo che varrebbe la pena di porsi.

  1. Il contenuto dell’obbligo di fedeltà

Posto che è abbastanza fastidioso (almeno per chi non è oltremodo “moderno” e “progredito” e magari per altri non lo è) pensare a un matrimonio in cui l’infedeltà sessuale sia tollerabile e lecita a prescindere da ogni scelta di coppia, è comunque oggettivamente incompleto sostenere che l’obbligo di fedeltà si riduca a questo.

Sempre in tempi recenti è stato affermato dalla Cassazione che: L’obbligo di fedeltà è sicuramente impegno globale di devozione, che presuppone una comunione spirituale tra i coniugi, volto a garantire e consolidare l’armonia interna tra essi (in tale ambito, la fedeltà sessuale è soltanto un aspetto, ma sicuramente assai rilevante). Quanto all’addebito, esso sussiste se vi siano violazioni degli obblighi matrimoniali, di regola gravi e ripetute, che diano causa all’intollerabilità della convivenza, (ciò anche per l’obbligo di fedeltà, come per qualsiasi altro obbligo coniugale) (Cassazione civile, sez. I, 01/06/2012, n. 8862)

“La fedeltà sessuale è soltanto un aspetto”, così si pronuncia la Cassazione.

E ancor più recentemente: La separazione giudiziale va addebitata al coniuge che sia venuto meno ai doveri di lealtà e di condivisione del progetto di vita in comune, a mezzo di condotte (da valutarsi in un quadro complessivo e non atomistico) che siano causalmente rilevanti rispetto alla intollerabilità della convivenza, in quanto minano il nucleo di fiducia reciproca che deve caratterizzare il vincolo matrimoniale (Cassazione civile, sez. I, 09/04/2015,  n. 7132).

E per fugare ogni dubbio in merito basta leggere questa pronuncia: L’obbligo di fedeltà, ex art. 143 c.c., deve essere inteso non solo come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma quale impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi; ne consegue che la relazione sentimentale di un coniuge, anche se non si sostanzi in un adulterio, può essere rilevante al fine dell’addebitabilità della separazione ex art. 151 c.c., qualora sia stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale (Cassazione civile, sez. I, 11/06/2008,  n. 15557).

Come si è potuto vedere l’obbligo di fedeltà sembra (a lato pratico) non togliere nulla a chi non lo condivide. Ma la sua mancanza (forse) potrebbe togliere qualcosa di importante (soprattutto a lato pratico) a chi lo considera una parte importante del rapporto di coppia.

Non solo: il contenuto dell’obbligo di fedeltà è molto ampio e (volendo ridurlo ai minimi termini) ha forse qualche attinenza con una devotissima amicizia

Francesco Garghentini

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