Ci hanno davvero colpito i Bilnd Tigers, progetto musicale molto particolare visto al Paniere alcune settimane or sono. Era la sera del venerdì santo. Il cantante si è presentato in scena con una corona di spine. Una botta scenica non male, e proprio con Vasco Inzoli, voce della band, abbiamo fatto quattro chiacchiere.
Come nasce questo progetto così particolare?
I Blind Tigers sono nati, quasi per gioco, dalla mente malata di due rock ‘n’ roller deviati (io e il batterista Matthew Strong). Rimasti entrambi orfani delle nostre band (Thee Acid Eaters e Cock Fighters), una sera, dopo una cena a base di torta fritta, ci siamo messi ad osservare un gatto nero che gironzolava per i tetti e non so per quale motivo abbiamo deciso di fondare una band dai suoni cupi e lisergici. Avevamo già il nome: Blind Tigers and The Ashes of Pompeii (poi accorciato in Blind Tigers dal momento che tutti ci dicevano che era un nome assurdo e troppo lungo ahuah). Non volevamo la chitarra e io desideravo assolutamente un sintetizzatore per fare le “storie crazy”. Strong ha quindi reclutato due suoi vecchi compari: Matteo Innocenti alle tastiere e synth, già con lui nei Vortice di Nulla e Simon (Cock Fighters) al basso. Durante la prima prova, con stupore, siamo riusciti subito a trovare un’intesa e a comporre una canzone (Krampus). Il germe delle tigri cieche stava per nascere e germogliare. L’idea era quella di creare dei moderni rituali sonici per i tempi frenetici dei nostri giorni. Dopo qualche mese, tuttavia, Simon ci lasciò per trovare la sua strada in Cina. Fortunatamente un nostro amico e noto scavezzacollo della scena musicale cremasca, il Reste (The Nuclears), si propose come sostituto al basso. Il suo arrivo ci ha permesso così di evolvere nella band che siamo oggi.
La scelta di rinunciare alla chitarra è voluta o diciamo avete fatto di necessità virtù?
Come ho accennato poco fa, la scelta di rinunciare alla chitarra è voluta. L’idea principale dei Blind Tigers è sempre stata quella di creare un sound fortemente basato sulle tastiere e synth accompagnato da una ritmica di basso e batteria percussiva, nichilista e cupa. Molta gente è convinta che se manca la chitarra viene meno la potenza del rock ‘n’ roll, ma non è così. Basta banalmente ascoltare qualche band progressive o, in caso si preferiscano tastiere più cheap, qualche band del periodo new wave per rendersi conto che per fare musica travolgente non è obbligatorio che la chitarra sia sempre in primo piano. Benché l’asse portante sarà sempre la tastiera, la scelta di rinunciare alla chitarra non è tuttavia totalizzante e assoluta. Collaborando con il nostro amico Alberto “Fao” Masseroli abbiamo composto una canzone dove compare la chitarra (Moly) e la continua apertura verso nuovi orizzonti e stili musicali ci porterà sicuramente a introdurla nuovamente. Molti si sentono vincolati dalla presenza o assenza di un determinato strumento musicale, ma per come concepiamo noi la musica nulla dovrebbe essere vincolante. Non vogliamo rimanere legati a un sound codificato. Cerchiamo di fagocitare e rigettare in musica tutte le influenze che invadono la nostra vita. Ovviamente non a casaccio. Il tutto deve essere espresso secondo la propria indole e personalità e per riuscire nell’intento ci avvarremmo, nel limite delle possibilità, dell’aiuto di tutti gli strumenti musicali, che più si addicono alla situazione collaborando anche con altri musicisti.
Quali sono le vostre ispirazioni, ho sentito molta psichedelia e musica anni 70, un certo beat…
Sicuramente un certo modo di fare psichedelia rientra tra le nostre influenze. La psichedelia è prima di tutto uno stato mentale che può tradursi in svariate forme musicali. In questa ottica psichedelica cerchiamo di accompagnare il nostro ascoltatore in un viaggio onirico, che gli permetta di vagare in una realtà metafisica che può assumere forme perverse. Per questo motivo ci interessano tutte quelle band che hanno saputo mettere in atto questa sorta di teatro-musica, e che sono state in grado di mostrare come l’alterazione mentale non sia solo luce e colore ma anche tenebra e paura. In questo contesto ci ispiriamo anche a soluzioni musicali che non vengono propriamente definite psichedeliche ma che in sostanza lo sono. Penso ai suoni cupi di certo post punk e new wave o alle colonne sonore di alcuni film italiani degli anni ’70 (la library music per intenderci), così come alle atmosfere occulte che si ritrovano in tante band progressive rock e in molta musica folk del sud Italia. Per quanto riguarda il beat ci interessa più che altro la fase di transizione del freakbeat, più aggressiva e acida del beat tradizionale. Per concludere, il nostro retroterra garage-punk continua a svolgere un ruolo fondamentale, influenzandoci fortemente sia nel suono sia nel modo di porsi sul palco.
Mi pare che puntiate molto anche sulla teatralità, vi ho visti la sera del Venerdì santo e tu ti sei presentato sul palco con corone di spine, quanto è importante nell’ottica generale?
I nostri concerti sono concepiti come una sorta di cerimonie mistiche. L’aspetto teatrale svolge un ruolo ampiamente importante nel cercare di estraniare l’ascoltatore dal mondo circostante per farlo partecipe del nostro rituale sciamanico e condurlo in una sorta di viaggio negli abissi mentali per esorcizzare i propri demoni e paure. Il nostro intento non è solo quello di far ballare e divertire lo spettatore, ma farlo partecipe di una realtà molto più ampia ed eterogenea. Cerchiamo quindi di proporre una mimica e un linguaggio del corpo che si rifà alla rappresentazione di miti di epoche passate e a certi stilemi dei riti religiosi, che oggi persistono ancora in alcune forme di folklore e cultura popolare, il più delle volte decontestualizzati dalla loro forma originaria.
Come trovate sia l’ambiente musicale cremasco?
A Crema, in Italia e nel mondo in generale il rock ha subito un forte declino. Oggi sono sempre meno i giovani che fondano una band. Preferiscono fare i dj o i rapper. Tenendo presente questo fattore e considerando che Crema e il territorio circostante non sono vasti riteniamo tuttavia che ci sia un buon fermento musicale. In proporzione, la scena musicale cremasca potrebbe sembrare quasi più viva di quella presente in altri centri urbani lombardi di maggiori dimensioni. Purtroppo la quasi totalità delle band, a parte rare eccezioni, è formata dalla vecchia guardia. Sarebbe belle vedere un continuo ricambio e nascita di nuove formazioni composte da giovani come avveniva un decennio fa.
Emanuele Mandelli