A me, non faccio per dire, ma ai miei tempi, modestamente, mi chiamavano “el nèbia”, ché se c’era un posto di lavoro libero mi vedeva proprio nessuno. Ho cominciato fin da piccolo a prendere scarpate nel culo dal mio papà, ma non c’è stato niente da fare. È che il vecchio non l’aveva mica capita che io sono uno che ragiona con la testa, mica col culo! La mia prima poesia, non faccio per metterla giù dura, l’ho scritta che avevo circa dodici anni, mi avevano buttato fuori delle classe perché mi mettevo il mignolo nell’orecchio e poi a casa il mio papà m’aveva massacrato da quelle parti. Ricordo ancora l’inizio, d’un “pàtos” che non vi dico e che solo pochi riusciranno a capire: “M’hai fatto sanguinare le chiappe/ma non mi vedrai mai cagare sangue…”
Avevo aperto ufficialmente la contestazione generazionale: mandarmi al Beccaria non si poteva perché non avevo commesso reati e in quanto al collegio, ostia, costava troppo. E allora il mio vecchio s’era informato presso il Pci se per caso in Siberia prendessero gli adolescenti, anche a gratis. “Niet, dalla poetica del giovane emerge chiaramente il disagio nei confronti della decadenza del sistema borghese.” Ciapa sù!
Per concludere e tirare la morale: adesso la nebbia non c’è più, ma soltanto perché non ci sono i più i lavori di una volta. Che cazzo ne so io, dici? Sei proprio un pirla: se il lavoro lo conosci, lo eviti.
Beppe Cerutti