Erano le quattro del mattino e in quella squallida stanza della Questura l’interrogatorio durava ormai da una decina di ore. Stanchezza, ma soprattutto tensione. “Stronzo, vedi di non farmi perdere la pazienza, se no ti pesto come un tamburo. Ci sono almeno quattro testimoni che affermano di averti visto ammazzare il morto. Che mi dici?”
Di fatto, ad essere nei guai, stravolto, era l’inquirente, perché tutti concordavano nell’accusa, ma manco per il cazzo che ci fosse un versione coerente: “L’ho visto mentre gli sparava”. “L’ho visto mentre gli vibrava una coltellata.” “L’ho visto mentre lo colpiva a martellate.” “Lo visto mentre gli trapanava il cuore con un Black&Dacker.”
“Xe gente de ostaria, gelosa”, andava ripetendo l’accusato. “El morto manco so chi l’è.”
Nel frattempo, in altre parti della città, le indagini proseguivano e giungevano altri rapporti: “M’è sembrato che gli sparasse.” “M’è sembrato che avesse un coltello.” “Sul martello sono sicuro, ma forse stava piantando un chiodo nel muro.” “Il trapano? Non mi sbaglio.”
Cose poche incoraggianti, ma l’undicesima ora è dura per tutti.
Gregolin, allora, mi vuoi spiegare?
Va beh, lo conoscevo. Mi ha fatto girare le balle e gli ho sparato. Poi, per non far trovare il proiettile sono andata a ravanare con il coltello ma siccome era dentro l’osso ho fatto pressione col martello e poi, visto che non veniva fuori, i goo provao anca con la punta a risucchio del trapano.”
Beppe Cerutti