Gli occhi le diventano lucidi. Guarda il figlio, con la manica del vestito si asciuga le lacrime, fa un sorriso al bambino: “Sono stata costretta a scappare. Il capo del villaggio voleva sposarmi contro la mia volontà. Mi sono opposta con tutte le mie forze, ma ha minacciato di morte me e i miei figli. Insieme abbiamo attraversato la Nigeria e il Niger per poi entrare in Libia passando per Agadez”. I. proviene da un piccolo villaggio del Camerun.
Quando è entrata nella tenda dove teniamo i colloqui per il supporto psicologico ad Augusta, in Sicilia, aveva con sé un bambino di pochi mesi: “Nel campo c’è anche l’altro mio figlio di due anni. Ci hanno imprigionati in Libia e hanno picchiato me e i miei figli. Il più grande aveva la testa gonfia e gli occhi neri per le botte ricevute in testa. Anche se so di essere in salvo qui in Italia, vivo ancora nella paura che da un momento all’altro possa succedere qualcosa di terribile”.
La rassicuro che il viaggio è finito, che i suoi bambini potranno andare a scuola, che saranno portati tutti e tre in un centro dove si prenderanno cura di loro e il suo viso si fa più rilassato. La sua storia ci racconta la vita e la determinazione di una madre per mettere in salvo i suoi figli. Mentre mi alzo in piedi per salutarla e accompagnarla nella sua tenda, prendo in braccio il suo bambino e, guardandola negli occhi, le dico: “I tuoi bambini sono molto fortunati ad avere una madre come te”.
–Fabrizio, psicologo di Emergency
trasmessa dal Cantone del Mondo alla Roversa
Gemma volontaria del Gruppo Emergency di Crema-Cremona