La lettura del Fainensciol Taimsss rientrava tra le abitudini mattutine e poco importava che le principali notizie del giorno arrivassero con una settimana di ritardo. Sì, perché in paese il giro dell’autorevole quotidiano londinese seguiva una precisa gerarchia: dal capoluogo provinciale giungeva un paio di giorni dopo la data d’uscita e l’edicolante, su precise disposizioni dei notabili locali, provvedeva innanzi tutto a inoltrarlo in Municipio, a disposizione di Sindaco, Assessori e Consiglieri comunali. Un passaggio del tutto inutile e già a mezzogiorno veniva ritirato dal tirapiedi del notaio il quale, a pranzo, lo commentava con la moglie e la figlia. Quest’ultima, fidanzata ufficialmente con il farmacista, con la scusa del mal di testa, barattava un’aspirina con la preziosa pubblicazione che, tra odori di canfora e mentolo, veniva carpita dal magazziniere il cui primogenito studiava la lingua inglese con profitti indecorosi, perché più allettato dalle bestemmie dei giocatori di tressette che dalla lingua di Shakespeare. All’osteria il prestigioso giornale trovava finalmente il dovuto riguardo, perché gli avventori lo sfogliavano con delicatezza e attenzione, come sempre accade quando i bifolchi hanno tra le mani qualcosa di cui non capiscono bene che cazzo sia.
E finalmente arrivava Oliviero detto Cimênt (tratto dall’italiano “cimento” oppure “rischio” o anche “pericolo”) per il primo bianchino della giornata. Spostava di lato l’aletta del cappellino da ciclista, perché sì, lui era il solo a sapere dove andare a mettere le mani in tutto quel casino. Sporgeva la lingua e ben bene ci passava sopra il dito indice e vai con lo sfoglio fino alla tal precisa pagina, la cui numerazione non sempre era quella della giorno prima. Ma poco importa, perché quando la lingua si seccava, e succedeva quasi subito, il rude ditone veniva inumidito nel bicchiere di vino. A chi magari gli chiedeva lumi circa un titolo messo in particolare evidenza su una pagina piuttosto che sull’altra, invariabilmente rispondeva di non darsi cruccio, “ché intanto sono le solite cazzate degli inglesi e a noi di quelle teste dure non ce ne frega un bel niente.”
“Dunque!”
Nella bottega del vino, delle carte e della blasfemia più sfrenata calava il silenzio, perché infine si era arrivati al momento topico.
La pagina in questione era quella dei listini di Borsa, otto colonne di nomi incomprensibili e microscopici, che Cimênt faceva passare meticolosamente uno per uno con l’indice avvinazzato.
“Ecco qua! I Buoni fruttiferi postali vanno su!”
E mentre gli astanti, euforici per la lieta notizia, brindavano con l’ennesimo bianchino, l’oste ripiegava il Fainensciol Taimsss in ottavi e con un coltellaccio da cucina lo riduceva a quadrati buoni per il luogo di decenza.
Beppe Cerutti
Dipinto di Giancarlo Vitali