Come è risaputo, l’ozio è il letame adatto per coltivare le illusorie ambizioni delle cicale e dei fannulloni. Medina ci aveva messo il nome, perché così dice la legge e, soprattutto, così reclamavano quelle vecchie puttane che si erano aggrappate ai suoi stracci finché, per togliersele di torno, accondiscese. Giusto il tempo di uno scarabocchio sopra alcuni fogli. Quei marmocchi si sarebbero chiamati Medina. “Vedrai che prima o poi  tuo figlio ti verrà a cercare”, disse una. L’altra s’accontentò dell’argento, ma lo sguardo era duro allo stesso modo della notte: “Se è vera la storia del tesoro, brutto bastardo, vedrai che anche mio figlio ti darà la caccia.”

Il tesoro, sai le risate! Ché se l’avesse avuto adesso vivrebbe da nababbo nella capitale. La favola di quella millantata ricchezza gli tornò alla memoria quando vennero a chiedere riparo e ospitalità.  Medina li guardò allo stesso modo con cui si guardano gli stranieri dall’aria equivoca. Per precauzione restò alla finestra e si mise in ascolto. La storia poteva anche reggere: le loro madri erano morte di mal francese e loro, non avendo null’altro da fare, s’erano accordati per rendersi utili al vecchio padre. La seconda parte della storia però zoppicava: quei due non avevano mai lavorato se non per fregare il prossimo, madri comprese.

“Gentile da parte vostra, però fermatevi dove siete.” Medina pensava che due idioti come quelli non potevano che rientrare tra i tanti figli suoi. Troppo scemi e solo per questo avevano ottime possibilità di restarci secchi di lì a poco.

(Continua)

Calvo Pepàsh

 

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