Si sta proiettando in questo momento presso la sala Alessandrini il film L’uccello dalla piume di cristallo, primo della rassegna Nero ’70 di Amenic cinema, ecco l’intervento critico che ho appena proposto prima del film
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L’ultima volta che si è visto un film di genere in questa sala, forse a Crema, era il maggio del 2009. Amenic cinema aveva organizzato una rassegna sul poliziottesco all’Italiana e anche in quel caso aveva chiamato me a dire due parole prima della proiezione dei film. Hanno dovuto passare più di 4 anni prima che il film di genere tornasse ad interessare questi bravi ragazzi, spesso troppo seri.
Ho già citato due volte la locuzione film di genere. Cosa si intende con questa frase? E’ un modo di dire tutto italiano nato tra gli anni ’70 ed ’80 usato per definire la cinematografia d’exploitation, o se vogliamo sminuire il tutto di Serie B. Si prendeva un genere hollywoodiano che in quel momento funzionava, lo si piegava allo stomaco del pubblico italiano e si inventava una versione tutta nostrana. Si pensi allo spaghetti western come esempio. Ma il vero film di genere deve degenerare, mi si perdoni il gioco di parole. Quattro anni fa era toccato al poliziottesco, che degenerava i polizieschi americani nella delirante atmosfera degli anni di piombo italiani. Ora c’erano tanti generi tra cui scegliere: zombesco, cannibalesco, nazi porno, decameronico, l’erotico familiare alla Samperi di Malizia.
A questo giro tocca al Nero. O meglio al giallo all’italiana. Il genere è forse il primo degenere a nascere. Probabilmente il primo film ascrivibile al filone è La ragazza che sapeva troppo di Mario Bava, 1963. E Bava lo vedremo settimana prossima con Reazione a Catena del 1971.
Ci sono dei titoli stupendi, titoli che da soli valgono la curiosità di vedere il film, titoli che spesso forzavano sul lato pruriginoso del pubblico delle sale italiane per poi proporre tutt’altro.
Qualche esempio: Sei donne per l’assassino, La morte ha fatto l’uovo, Nude… si muore (di Antonio Margheriti), Femmine insaziabili, La bambola di Satana, 5 bambole per la luna d’agosto, Le foto proibite di una signora per bene, La bestia uccide a sangue freddo, Una farfalla dalle ali insanguinate, Una lucertola con la pelle di donna, La corta notte delle bambole di vetro, Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea, Ragazza tutta nuda assassinata nel parco, I corpi presentano tracce di violenza carnale, L’assassino è costretto ad uccidere ancora, Morte sospetta di una minorenne, Nude per l’assassino, I vizi morbosi di una governante.
Anche il film che apre questa rassegna ha un titolo particolare. E’ il film d’esordio di un regista che diventerà noto per gli horror ma che per tre film, la cosiddetta trilogia degli animali, si butta sul giallo. L’uccello dalle piume di cristallo è il primo film di Dario Argento. Uscito il 19 febbraio del 1970 non ebbe grandissimo successo. Divenne un film cult piano piano, succedeva spesso in quegli anni. Liberamente tratto dal romanzo La statua che urla di Fredric Brown nasce in un modo strano.
O meglio. Nasce nel solito modo in cui nascevano i film negli anni ’70 Una casa di produzione aveva acquistato i diritti del romanzo e aveva affidato a Bernardo Bertolucci l’incarico di trovare qualcuno per realizzare la riduzione cinematografica. Bertolucci sceglie un ex critico cinematografico per scrivere la sceneggiatura. Argento appunto. Aveva collaborato con lui per la sceneggiatura di C’era una volta il West e gli era sembrato perfetto.
Argento ci si butta anima e cuore nel progetto e di fatto scrive una cosa che dal romanzo si allontana sempre più. E lo prende un sacco. Ci mette le sue ossessioni oniriche e le sue follie. A questo punto non si sa a chi fare girare il film. La sceneggiatura è diventata talmente particolare che c’è paura che un regista a caso possa non capirla. Allora Argento chiede dei soldi a suo padre e fonda una casa di produzione indipendente, la Seda Spettacoli, e decide di girare da se il film.
Sei settimane di riprese iniziate nel settembre del 1969. Grandi liti con l’attore protagonista Tony Musante, americano arrivato in Italia nel 68 per girare il west I Mercenari. Tra l’altro scomparso il 26 novembre scorso a 77 anni. Argento si rifà proprio al film di Bava prima citato ma ci mette anche cose da western all’italiana e idee sue da critico. Soprattutto si inventa quelle strane, sghembe, prospettive che lo renderanno famoso.
Ma a caratterizzare il film è soprattutto la musica. E’ ancora lontano il sodalizio con i Goblin che caratterizzerà la parte horror della carriera di Dario Argento. Ma la cifra stilistica del genere musicale che da qui in poi caratterizzerà i gialli all’italiana c’è tutta. E la inventa, pensate un po’, niente meno che Ennio Morricone. Via le grandi melodie dei western di Leone dentro elementi di free jazz, di fusion, di musica sperimentale. Una cosa che contemporaneamente in Spagna faceva Jess Franco che da ex jazzista scriveva da se le colonne sonore dei suoi film. Suoni, campanelli, percussioni vocalizzi straniti, musica concreta. La musica si rivela perfetta per l’atmosfera che Argento vuole creare e che rimarrà anche nei film horror: claustrofobia pura.
Musica che contribuisce a dare alle immagini di una Roma, fino ad allora vista su grande schermo come una cartolina turistica, il vestito di una metropoli livida e spettrale. Una Roma così allucinante io la ricordo solo in un film di 5 anni dopo. Macchie Solari di Armando Crispino, dove le musiche guarda caso sono ancora di Morricone. Uno stupendo film ambientato in una deserta Roma agostana devastata da omicidi che forse sono colpa di macchie solari. La Titanus, che distribuiva il film come distribuì quello di stasera, dava agli spettatori all’ingresso delle sale delle mascherine nere per coprire gli occhi durante le sequenze più cruente. Anche questo era lo stupendo mondo dei film di genere degli anni ’70.
Ma questa è un’altra storia.
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