Quella fu l’ultima volta perché poi l’incantesimo si spezzò.
La sera della vigilia se n’era andato a letto recalcitrante, perché il Gesù Bambino lo voleva conoscere in prima persona. Oltre tutto gli aveva chiesto un regalo impegnativo: il teatrino, con le marionette fatte di gesso, colorate e appese a sottili fili di ferro. Disegnate sul cartone, le scenografie di fondo e i quarti di scene dovevano soltanto essere tanto, ma tanto variopinte. Quel teatrino lo aveva visto in un grande magazzino, il tutto rinchiuso in una scatola non più grande di quella di un panettone. Con il naso schiacciato contro la grande vetrina, aveva immediatamente steso la sua prima commedia.
“Ma a che ora arriva Gesù Bambino?” chiese con gli occhi spalancati sul buio. “Arriva nel sogno, adesso dormi” rispose la madre.
Forse fu l’eccitazione, ma molto probabilmente perché gli stava scappando la pipì e già aveva imparato a non farsela addosso. Di fatto prese il pitale e mentre la pipì se ne andava via, udì rumori nell’altra stanza. Quella dove c’era la stufa grande e dove si mangiava. Quale non fu il suo stupore nel vedere un uomo ben piantato, vestito di rosso e con la barba bianca che stava sistemando il “suo” teatrino, proprio come l’aveva immaginato giorni prima.
“Chi sei?”
“Mi chiamo Babbo Natale e porto i regali ai bambini buoni.”
“E perché non c’è Gesù Bambino?”
“Ti piace il teatrino? Al posto di sei le marionette sono dieci. Potresti inventare altri racconti…”
“Perché non c’è Gesù Bambino!?”
“Piccolo, cerca di capire. Gesù Bambino ha perso la guerra e adesso ci sono io. Vuoi una Coca Cola?”
Beppe Cerutti