È tra le cento donne più influenti in Italia, secondo la rivista Forbes. Si tratta di Silvia Bolzoni, originaria di Credera Rubbiano: imprenditrice, 280 “collaboratori”, otto sedi da Milano a Torino fino a Roma (sul profilo dell’imprenditrice a tutto tondo si veda il saggio di Greta Mariani contenuto in “Donne al lavoro”).

È un personaggio già noto alla stampa non solo locale, soprattutto da quando ha ricevuto due riconoscimenti prestigiosi, l’Ambrogino d’Oro e la Mela d’Oro (quest’ultima seguita da un incontro con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella).

Quali i meriti? La sua politica aziendale di attenzione e cura delle persone, l’aver realizzato, in altre parole, per i suoi collaboratori (l’80% donne) un welfare aziendale encomiabile. In concreto? La sua azienda (Zeta Service che si occupa di paghe e amministrazione del personale in outsourcing) offre una serie di benefit e di servizi per conciliare vita lavorativa e privata, lasciando molta autonomia nella gestione del lavoro, garantendo a tutti i “collaboratori” la possibilità di usufruire di un orario flessibile in entrata e uscita dall’ufficio senza alcuna timbratura, concedendo part-time ai collaboratori che ne fanno richiesta, ridistribuendo il carico di lavoro in modo equo all’interno del gruppo, offrendo la possibilità di prendere giornate di smart-working. E c’è di più: un maggiordomo aziendale che si prende carico di tutte le commissioni quotidiane (posta, ricezione e invio pacchi in azienda, lavanderia, manutenzione automobili private); visite mediche in azienda, parrucchiere, corsi di yoga, premi welfare, bonus bebè a tutte le neomamme, proprio perché la maternità è vista come un importante momento di crescita da valorizzare il più possibile. Tutto questo ha fatto della sua azienda il secondo miglior luogo di lavoro in tutta Italia.

Non solo: oltre a creare benessere al proprio interno, l’azienda è proiettata all’esterno destinando risorse a progetti benefici (a favore di bambini e anziani in difficoltà e della ricerca). Da qualche tempo, infine, dall’idea di Debora Moretti – figlia di Silvia Bolzoni nonché Amministratrice di Zeta Service – è nato il “Progetto Libellula”, “primo network di aziende unite contro la violenza sulle donne e la discriminazione di genere, che conta 31 realtà al suo interno e raggiunge 50.000 dipendenti”: l’azienda, quindi, si è fatta protagonista di una battaglia civile per la causa delle donne.

Siamo in presenza di un modello esportabile? Le realtà aziendali sono molto diversificate tra loro e non tutte sono nelle condizioni di consentire lo smart working, ma tutte possono intervenire con alcuni benefit e con un particolare atteggiamento di ascolto e attenzione.

Nulla di rivoluzionario, senza dubbio, perché siamo nel solco del modello Olivetti, ma – e questa è la novità – senza avere alle spalle un colosso come Olivetti e con un’attenzione particolarissima all’esigenza delle donne di conciliare lavoro e famiglia.

Se nella classifica europea l’Italia è nelle retrovie in termini di occupazione femminile, la causa principale è proprio la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Il modello Zeta Service, quindi, se diffuso, potrebbe diventare la soluzione del problema. Ma riuscirà a contagiare altre aziende? Sarebbe nell’interesse dell’intera comunità.

 

Piero Carelli

 

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