Forse è impossibile spiegarlo, ma ci sono persone che si portano dentro un sottile e malinconico romanticismo, fatto di turbamenti che hanno premura e, insieme, di una fatalistica quanto ingenua rassegnazione.
Poi si cambia, ma allora Emma era fatta così, anche se ancora non aveva nulla da rimpiangere.
Emma, credendo di non poter trovare mai il suo principe azzurro, dipingeva sogni e buttava sassi nell’acqua. Emma aveva quindici anni, un diplomino alle scuole commerciali e, sì, questo di sicuro, un lavoro come sartina che tutte le mattine la portava a transitare sotto le guglie del Duomo, poi a destra in corso Vittorio Emanuele e infine, un po’ più avanti, a sinistra, in quella piazzetta dedicata al Liberty.
Lì c’era un bar.
Entrava non per fare colazione, ché la sua mamma l’aveva già rimpinzata ben bene di caffellatte e pane del giorno di prima, ma perché c’era un juke box e le “sue” cinquanta lirette quotidiane le spendeva per ascoltare, trasognata, la canzone preferita: “Aspettando un amore che non tornerà più, a far cerchi nell’acqua non rimani che tu” (parole e musica di Memo Remigi).
Emma ora è un po’ più cattiva, perché ha voluto vedere quanti cerchi può fare l’acqua se gli sbatti dentro un principe azzurro con una pietra legata al collo.
Da ragazzino anch’io facevo il bulletto da quelle parti e ho conosciuto Emma. Emma mi piaceva. Meno male che non sono piaciuto a lei.
Beppe Cerutti