Quando nel 1991, voglio dire 33 anni fa, l’Umbe apparve sorridente sul manifesto della Festa centrale dell’Unità era già un personaggio epico. Eppure aveva 22 anni. Fu un piccolo evento per l’estate cremasca. La festa si teneva ancora al parco Bonaldi e già esisteva la birroteca. E per tutte le serate che andarono dal 23 agosto al 2 settembre di quell’anno lui ci fu. Stazionò lì, fisso, un po’ meno molesto ed estremo di come lo ricordano i cremaschi negli ultimi 10 anni, con le sue magliette sdrucite di gruppi improbabili, esattamente quelle che in tanti a Crema indossiamo ancora come segno di riconoscimento.

Nella seconda metà degli anni ’80 a Crema ci fu un piccolo fenomeno che venne poi in maniera carbonara chiamato Crema metal. Nulla di che, qualche giubbotto di pelle stile chiodo, le cinture borchiate, i dischi scambiati come preziose reliquie, il sabato pomeriggio al Videoclip, che era un negozio di dischi in via XX settembre che rispetto lo storico 747 aveva ben due espositori, messi anche al centro del negozio, dedicati al metal. Fu un fenomeno durato in fondo poco più di un soffio che aggregò una fauna variegata. Tenuta assieme dalla passione per la musica metal, il nero, le chitarre distorte. Tanti di quelli che ho conosciuto in quegli anni sono ancora cari amici. Tanti sono scomparsi nelle pieghe del tempo. Qualcuno ci ha lasciato, già allora.

Lui, l’Umbe, che per inciso già 40 anni fa chiamavamo così ha sfiorato quel fenomeno, quella compagnia, ma era troppo cane sciolto per essere uno “da compagnia”. Adorava il primigenio metal, ma era già più punk, nell’anima. Credo di avere ancora una cassetta che mi registrò con su un lato i Mucky Pup e sull’altro i Wehrmacht (per inciso oggi dopo che mi è emerso questo ricordo sono andato ad ordinare in vinile quesl disco), sotterranee band hardcore punk americane imbastardite con thrash e crossover, che nel 1986 aveva scoperto chissà dove e andava spacciando come fenomenali. Non si sentiva un cazzo, era registrata col culo. Ma era fiero di essere portatore di quelle band che noi proprio non conoscevamo.  Era un fuck the system anche in quel caso. Voi li con il mainstream degli Iron Maiden io sono già andato oltre. Poi mi ricordò che sparì per dei mesi, si diceva fosse andato a vivere ad Amsterdam. O che per tre mesi non si fosse mai levato gli anfibi. Era portatore sano di leggende metropolitane.

Ma alla fine tornava sempre. Un po’ più ammaccato, un po’ più incazzato, con qualche avventura nuova da raccontare, qualche parola d’ordine nuova, qualche bizzarra teoria. Sempre uguale a se stesso. Mentre gli altri trovavano lavoro, si fidanzavano, appendevano le chitarre al chiodo, facevano figli, mettevano peso, compravano le polo al posto delle magliette. Così quando lo ritrovavi in giro per Crema era come una macchina del tempo. Era rivedere il 1986, o il 1991, in un attimo.

Per questo stento a credere che adesso non lo vedremo più. In tanti ieri sui social hanno raccontato il loro Umbe. Quello ubriaco, quello con velleità artistiche niente male, quello caritatevole verso gli ultimi (come lui), quello incontrollabile e un po’ imbarazzante, quello che ti stoccava 2 euro per una birra, quello che amava i suoi cani, quello che… Insomma non è una canzone di Jannacci. Solo un ricordo un po’ punk, come lo avrebbe voluto, di uno che in fondo ha vissuto la sua vita esattamente come voleva. E solo per questo merita il nostro massimo rispetto.

emanuele mandelli

 

 

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