Il North Dakota fa parte degli Stati Uniti d’America dal 2 novembre 1889: 39° Stato dell’Unione. Il cinema ci ha insegnato che la principale città è Fargo, anche se la capitale è Bismarck, che a Hollywood è considerato un nome imbarazzante. Da quelle parti di solito fa un freddo della madonna, ma anche lì, al mutare delle stagioni, il caldo è torrido. Ed è proprio in quel periodo, quando correva l’anno 1932, che un banale processo civile assunse la dimensione di un caso internazionale, mobilitando l’opinione pubblica mondiale.
Alla sbarra sedeva Calvo Pepàsh, emigrato d’incerta origine, così come dubbia appariva la sua naturalizzazione come cittadino americano: partito clandestino da Marsiglia nel 1928, giunto in vista della Statua della Libertà si buttò a mare insieme all’unico suo avere: uno pneumatico “recuperato” chissà dove ai tempi della Prima guerra mondiale.
Nel corso del procedimento e con la presenza cautelativa di un interprete, il Coroner chiese all’imputato delucidazioni circa l’inizio della sua “inconsueta attività”.
“Colpa della crisi del ’29. Già alla fine di ottobre, per molti di noi, senza arte ne parte, si trattava di sopravvivere. Visto che avevo lavorato in un macello, mi inventai una professione: cacciatore di mosche, cinquanta centesimi al giorno. Vostro Onore, non faccio per dire, ma nella cella frigorifera dove lavoravo io prendevo a giornalate anche i macellatori.”
“Dunque fece carriera…”
“La voce si sparse e così allargai la mia attività ad altri clienti, anche a gente distinta. Mi chiamavano il killer delle mosche e andavo un po’ di qui e un po’ di là. Finché non arrivò quella chiamata dal North Dakota, maledizione.”
A questo punto sospendiamo la cronaca stenografica perché, sui dettagli, accusa e difesa spaccarono il capello in quattro e tirarono notte. In sintesi: Calvo Pepàsh venne ingaggiato da una stimata famiglia del luogo, che chiedeva un ripulisti nella casa di campagna chiusa da circa un secolo e con una colonia di gatti morti in data leggermente più recente. Per farsi ben volere il “killer delle mosche” usò i fogli della stampa locale nella classica ripiegatura in quattro, ignorando però che il loro peso specifico era tre volte superiore a quello dei giornali stampati a San Francisco. Risultato: debellò la colonia di mosche ma demolì anche una parte consistente della mobilia. Da qui il processo a carattere civile per risarcimento danni.
Quando si dice il destino. Da quelle parti c’era mica un novello cronista d’assalto (italiano) che mosso da sacro furore fece confusione tra ditteri e Capitali di Stato? Titolo sparato sulla Gazzetta di Fargo: “Arrestato il killer di Mosca”. Conseguenza: delitto federale e Washington intervenne con una dura nota di protesta consegnata all’ambasciatore dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. “Baffone” colse la palla al balzo e ne fece fuori un altro po’ per turbativa delle relazioni internazionali, ma alla fine, dopo un centinaio di fucilazioni eseguite all’alba, fu costretto ad arrendersi: se non è un nostro agente segreto, costui chi è?
A prescindere dalle implicazioni diplomatiche, il Coroner condannò Calvo Pepàsh a una pena esemplare. Infatti, pur tenendo conto che l’imputato non poteva sapere che i mobili distrutti risalivano all’età del Bounty, dunque vecchi, logori e oltre tutto trascurati, stabilì che, in quanto affermato professionista ormai operante nei diversi Stati dell’Unione, era tenuto a conoscere i dispositivi di legge in materia di tutela ambientale vigenti nel North Dakota, i quali stabiliscono che, per il mantenimento degli equilibri ecologici regionali, ogni residente può spiaccicare non più di cinquanta mosche al giorno, a prescindere dalla stagione. Una quantità che Calvo Pepàsh sistemava nel giro di venti minuti. Per tale ragione fu condannato alla bonifica forzata degli uffici pubblici dell’intero Stato.
Beppe Cerutti