Alessandro ha 5 anni appena compiuti e qualche mese fa il suo babbo, giustamente per fargli provare tutti gli sport l’ha iscritto ad una di quelle scuole calcio, una delle tante sorte negli ultimi anni, che come attività principale dovrebbero, tramite la campagna cosiddetta “primi calci”, avvicinare i bimbi al giuoco del calcio.
Chiaramente poi non tutti i pargoli termineranno la trafila proseguendo a giocare al football; il curioso, sveglio Sandrino per esempio è uno di questi, ma la motivazione con la quale, il piccolo per così dire ha preso le distanze dal mondo pallonaro, beh in un certo senso è la fotografia di questo ormai irrecuperabile sistema calcioshowbusiness italico. Sentite un po’ cos’è il football per l’intelligente Ale: <Che noia il calcio, non puoi correre, non ti lasciano stare e ti fanno fare sempre le solite cose>.
Cos’avete, o meglio, cosa abbiamo provato guardano, recentemente, in tv le sfide dell’Italia del fu “tarantolato” Antonio Conte? Noia, maledetta noia perché ormai, alle nostre latitudini, tattica esasperata e agonismo spento hanno ridotto quello che una volta era il frizzante calcio italiano … a una triste, sgasata commedia priva di un copione intrigante.
Cosa fare per cambiare la trama? Tanto per iniziare e gradire, almeno a livello di settore giovanile, nei vari sodalizi dilettantistici (termine questo inflazionato, anacronistico e da rivedere, ndr) anziché tesserare tecnici impreparati, improvvisati e schiavi dell’esasperazione tattica, ecco bisognerebbe dar spazio a istruttori veri appassionati al gioco che, serenamente, senza forzature tornino a far rotolare e correre pargoli intorno a una palla insegnando loro i fondamentali e la gioia di calciare, con pathos, la pelota. Il resto è noia. Verso Alessandro?
Stefano Mauri