Beppe Severgnini da Crema, giornalista e scrittore (e tante altre cose) beh ha scritto un libro insieme al generale Figliuolo e a quanto pare, anche se nessuno lo ammetterà mai, non tutti, nei palazzi forti della politica romana – nazionale hanno gradito questa svolta di Figliuolo, ma questa è un’altra storia. Torniamo al porto agonista della storia:
il liceo classico a Potenza, l’Accademia militare a Modena, le missioni in Kosovo e in Afghanistan, fino alla nomina a Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 con l’incarico di coordinare la campagna vaccinale per far uscire l’Italia dalla pandemia. Sì come anticipata o poc’anzi in apertura, il generale Francesco Paolo Figliuolo si è raccontato in «Un italiano. Quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande», una conversazione di 304 pagine con Beppe Severgnini, editorialista del Corriere della Sera . Il libro, edito da Rizzoli, è in uscita nelle librerie da martedì 8 marzo.
Qui a seguire ecco un estratto, il dialogo introduttivo.
Un marziano scende a Roma e le chiede: «Scusi, lei chi è?». Cosa risponde?
«Sono un ragazzo meridionale di periferia che sognava di diventare un alpino. E ce l’ha fatta».
Il marziano si accontenterebbe della risposta?
«Forse no. Ma sarebbe troppo occupato a capire perché porto quattro stelle sulla spalla e una penna sul cappello. Eviterebbe di farmi altre domande»
Il suo incarico – Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 – è iniziato il 1° marzo 2021 e termina il 31 marzo 2022. I periodi più duri?
«Il primo e quest’ ultimo. Perché all’inizio non sapevamo cosa fare, alla fine perché pensavamo di averlo fatto».
Provi a riassumere il suo compito.
«Ho cercato di mettere insieme molte brave persone e tante cose buone durante un’emergenza, e ho contribuito a vaccinare una grande democrazia. Non è stato facile. Nel 2021 il virus era aggressivo, mi sembrava che un treno mi corresse incontro. Nel 2022 sento in me e intorno a me la frustrazione: ma come, con tutti gli sforzi che abbiamo fatto, ancora non ne siamo fuori?».
Lei è un alpino, porta in giro la sua penna come una bandiera. La rassicura?
«Molto. Essere alpino è una scelta identitaria, non una professione. Gli alpini amano appassionatamente la propria terra e la propria gente, sono seri ma non seriosi, si aiutano a vicenda, sanno che la fatica fa parte del mestiere. E quella contro il Covid è stata una lunga marcia in salita».
Le persone che l’hanno sostenuta di più?
«La mia famiglia: la generalessa Enza, i miei figli Salvatore e Federico. La squadra alla struttura commissariale: sono stati eroici, mi creda. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi: è un uomo prudente, ma ho avuto l’impressione che si sia sempre fidato di me. I ministri Lorenzo Guerini e Roberto Speranza. Il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Alcuni presidenti di Regione».
Non Vincenzo De Luca, presidente della regione Campania
«Direi di no. Ha sempre parlato di me come di un avversario, o addirittura come di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: deludente. Nessuno dei suoi colleghi, di ogni colore politico, si è comportato così».
Perché vuole scrivere questo libro? Risposta sintetica, dobbiamo iniziare.
«Perché qualcuno capisca cos’ è successo e cosa abbiamo rischiato. E sappia che questo alpino ce l’ha messa tutta. Con i suoi difetti, con i suoi limiti, con la sua impazienza, con molte arrabbiature. Ma ce l’ha messa tutta».
Per saperne di più a questo punto bisogna soltanto acquistare il libro, libro che secondo dense fonti romane, non è piaciuto a una parte pensante è pesante della politica Italica. Chissà perché?