“Nell’estate 1999 (per intenderci quella di Madonna di Campiglio, quella del fermo d’ufficio precauzionale causa il tasso d’ematocrito elevato nel sangue, ndr) incontrai Marco Pantani: Voleva chiedere alla Federciclo che presiedevo di avvalorare la tesi nel complotto nei suoi confronti. Avrei preferito che il suo caso invece rappresentasse lo spunto per lanciare la campagna per uno sport sereno, con un nuovo Pantani nelle vesti di testimonial. Con Marco parlai comunque per ore, alla fine capii che non c’era niente da fare. E qui mi fermo”.
Parlava così Giancarlo Ceruti (cremasco doc, a quei tempi presidente della Federazione italiana ciclismo, ente da lui presieduto dal 1997 al 2005) nel febbraio 2004, a margine di un dibattito culturale incentrato sulla presentazione di un libro sul doping. Oggi Ceruti, tre lauree nel cassetto è diventato scrittore e ricercatore, gira Crema e il Cremasco per presentare il suo ultimo libro (Tra passione e realtà: antropologia della cultura ciclista) ma non ha più voglia di parlare del suo passato dirigenziale alla Federciclismo e soprattutto non vuole parlare di quel ciclismo. Verso la fine degli anni Novanta, Ceruti si spese pubblicamente in prima persona e in presa diretta per introdurre i principi di uno sport tranquillo e pulito e si impegnò per ridurre le distanze chilometriche nelle corse a tappe. Emblematiche, o meglio, epiche, in tal senso alcune sue sfide con l’allora direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò. Ma quelli erano altri tempi e lo precisa proprio Giancarlo Ceruti da noi interpellato al telefono.
A distanza di anni cosa prova adesso che hanno riaperto, drammaticamente, la triste tragedia di Marco Pantani?
Mi occupo d’altro oggi, faccio il ricercatore, non voglio rinvangare il passato. Sto presentando il mio saggio, ho già pronto un nuovo libro e uno l’ho appena messo in cantiere.
Lei comunque fu il primo a parlare pubblicamente di campagna per un ciclismo sicuro e pulito…
Si ma era davvero un’altra epoca quella, meglio lasciar perdere ciò che è stato.
E di cosa parla allora nella sua ultima fatica letteraria?
Parlo, tra le altre cose di passione, simboli, rituali e dei comportamenti dei tifosi, quelli che si piazzano, per esempio sui tornanti e aspettano i ciclisti per fotografarli, toccarli, sostenerli o addirittura farsi fotografare con loro.
Senta ma davvero non le mancano neppure un pochino i suoi trascorsi dirigenziali nel mondo delle due ruote?
Davvero di queste cose non parlo, ora mi occupo di ricerche.
Stefano Mauri