Settimana prossima con il concerto degli Eagles inizia il Lucca Summer Festival. Ci sarò, da solo, e piangerò credo. Per spiegare perchè… Beh ecco un racconto tratto da Quando usucapivo vinili.
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La mia storia con la musica, intesa come oggetto di consumo, ha una data di inizio ben precisa: giovedì 13 dicembre 1979. Alla tenera età di 9 anni, in terza elementare, avevo preteso come regalo per la festa di Santa Lucia un radio registratore a cassette. Il regalo, scintillante e tecnologico, era arrivato con le prime due cassettine richieste: 20 Golden hits dei Beatles e Burattino senza fili, di Edoardo Bennato, lo splendido concept album che il cantautore partenopeo, appena due anni prima, aveva dedicato alla favola di Pinocchio.
Entrambe le richieste avevano un senso ben preciso. Le canzoni dei Beatles le avevo scoperte a casa di Fabrizio, compagno di classe nella sezione A della scuola elementare di Borgo San Pietro. La Beatlesmania aveva preso anche noi imberbi ragazzetti. Non era il 1966 ma dopotutto nel 1978 l’epopea dei Fab Four di Liverpool era ancora ben presente, non che ora non lo sia, e sopratutto recente. Dopotutto non era ancora morto assassinato neppure John Lennon. Morirà di li a poco, l’8 dicembre del 1980, e io nonostante fossi agli albori della mia passione musicale, e amassi i Beatles, non me ne renderò conto O forse non me lo vollero dire. E si che il 9 maggio del 1978, ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, me lo ricordo molto bene. Forse è uno dei ricordi più antichi che ho.
Ma parlavamo di quella raccolta malandrina, che non risulta neppure tra quelle che adesso riporta Wikipedia nella discografia del gruppo, che avevamo consumato sul piatto del giradischi dei genitori di Fabrizio. Soprattutto il lato A. L’effetto adrenalinico di canzoni come She loves you, Help, Can’t buy me love, su bambini di 8 anni è constatabile ancora oggi. Saltellavamo dappertutto io Fabrizio e Carlo fingendo di essere noi gli scarafaggi e suonando come degli ossessi strumenti immaginari. La prima gara di air guitar a cui abbia mai partecipato.
Burattino senza fili invece lo avevo sentito per la prima volta quello scorso autunno. Per farmelo sentire Carlo se lo era fatto prestare, in cassetta, ovviamente doppiata, dalla sorella maggiore Giuliana ed era sceso a casa mia con un mangianastri, di quelli piatti ad una cassa. Credo che oggi siano preziosi oggetti di modernariato. Avevamo tirato la prolunga fuori all’aperto eravamo animali da cortile stare in casa era improponibile, appoggiato il mangianastri su una sedia e messo la cassetta. Noi ci eravamo seduti attorno al moderno totem e avevamo fatto Play.
Il disco era uscito nel 1977 e aveva venduto la bellezza di un milione di copie. Numeri impensabili oggi. Ricordo ancora tutto di quei 35 minuti che parvero molti, molti di più. Il silenzio di tomba di noi due ad ascoltare le canzoni di Bennato come se fossero una favola, e di una favola in fondo si trattava. Mi ero innamorato subito di quel piccolo gioiellino. La mia copia è una cassetta serie Orizzonte Ricordi custodia arancio e cassetta bianca. La conservo ancora. Dopo un mese dal regalo sapevo le canzoni a memoria, le so ancora adesso, tanto che facevo un gioco con gli amici. In un momento a caso di una canzone abbassavano il volume a zero e proseguivo io a cantare. Quando rimettevano il volume vedevamo di quanto ero avanti o indietro. Entravo sempre perfetto al millesimo di secondo.
La sera stessa di quel 13 dicembre del 1979 entrai in contatto con il magico mondo delle cassette doppiate. Sapendo del regalo avevo commissionato ad un cugino più grande di farmi due o tre nastri dalla sua, mi pareva immensa, collezione di vinili. In realtà erano solo qualche decina.
E Tiziano, pace all’anima sua, fece un egregio lavoro. Nell’ordine mi porto una C60 con sul lato A le canzoni più belle di Hotel California e sul lato B le canzoni più belle di Desperado degli Eagles. Una C46 con sul lato A una raccolta di canzoni di Simon & Garfunkel, ovvero l’ameno duo folk formato da Paul Simon e Art Garfunkel, quelli di The Sound of Silence e del film Il Laureato.
Quella cassetta sul lato B aveva inspiegabile parte di Celeste Nostalgia di Riccardo Cocciante, che col tempo recuperai in vinile. E’ uno scheletro nell’armadio. E per finire una C90 con sul lato A pezzi dei Police e sul lato B pezzi dei Rolling Stones.
La prima che inserì nel mangianastri fu quella degli Eagles. Fece Play e, meraviglia, iniziarono le note introduttive di Hotel California degli Eagles. Quel giro arpeggiato di chitarra che parte dal Fa minore era la cosa più bella e particolare che avessi mai sentito in vita mia.
“Cosa ci trovi che non si capisce nulla, io no so”, chiese sua madre, la zia Viri, pace pure all’anima sua. Lui disse: “come non si capisce niente? Io ho già sentito un sacco di belle parole: California, Mercedes Benz, friends, relax…”.
Nella sua mente doveva essere la descrizione di un viaggio, una cosa bella tra amici, in California, magari a bordo di una Mercedes.
In realtà si tratta di una delle canzoni più controverse della storia del rock. Uscita come singolo nel 1976 descrive la storia, apparentemente, di un viaggiatore stanco che rimane intrappolato per sempre nelle stanze del terrificante Hotel California, da cui non puoi andartene. Si dice sia una allegoria dell’edonismo e dell’autodistruzione californiana di quei tempi. Ma alcuni versi, come “e si sono radunati per il banchetto nella stanza del padrone, lo trafiggono con i loro coltelli in acciaio, ma non possono uccidere la bestia”, hanno fatto allungare sul pezzo un ombra malvagia e satanica. Ma il gruppo ha sempre smentito. In realtà nella frase c’era una oscura presa in giro degli Steely Dan, gruppo rock dell’epoca che a loro volta aveva preso in giro gli Eagles in un pezzo di un loro disco, roba da rockstar insomma.
Da allora ho adorato le aquile. E non sono il solo. La raccolta del ’75 vendette 42 milioni di copie. Sono considerati uno dei gruppi più influenti della storia del rock al pari di Led Zeppelin o Pink Floyd, ma se lo dici ad alta voce la gente, soprattutto in Italia, ti guarda strano.
Delle oscure interpretazioni del loro brano più famoso anche io me ne fregai. Anche per me da allora, e per sempre, è diventata una canzone dolce e da viaggio. Una canzone che adoro, anche se mentre la ascoltavamo incappammo in un piccolo incidente, io e Carlo, al mare, 15 anni dopo. Ma questo non me la rovinò. Carlo invece, un po’ come il Drugo de Il grande Lebowski, non ha mai sopportato il country rock degli Eagles. Come non ha mai sopportato metal e cantautori. Ma che cazzo di musica sentiva l’amico Carlo? L’ho sempre descritto come un buon ascoltatore di musica ma mi sa che ne capiva pochetto adesso che ci penso.