Da oltre dieci di giorni la Fase due è entrata nel linguaggio quotidiano. Una scia chimica che si staglia nel cielo del Covid-19 e crea aspettative per l’allentamento degli arresti domiciliari, ma anche preoccupazioni per la possibilità che sia intesa come un «Tana! Liberi tutti!».
Per i seguaci di Freud, la Fase due è, nello sviluppo dell’individuo, quella anale. Succede alla fase orale, precede la fallica, a sua volta seguita da altre due tappe.
Quella orale è stata una cavalcata delle walchirie di decreti, ordinanze, circolari, comunicazioni contradittorie, conferenze stampa, numeri, opinioni, annunci e promesse disattese. Un’Apocalypse Now in salsa italiana, alimentata da una passerella televisiva di virologi, esperti, professoroni, professorini, ma anche di alcuni coglioncelli. Tutti o quasi tutti, con due pistole caricate a salve e un canestro di parole nuove, ma, fatta salva qualche eccezione, più saccenti e antipatici del signor Hood cantato da De Gregori.
L’overdose di informazione, spesso contraddittoria, non ha fermato la strage. Il covid-19, impermeabile alle dichiarazioni di guerra, si è diffuso con la velocità dei gremlis. Ha mietuto vittime e distrutto famiglie.
Ci hanno raccontato che il picco dei contagi è arrivato in ritardo, che il plateau è rimasto stabile più del previsto, che la discesa non è paragonabile a quelle del giro d’Italia. Già, ma neppure agli scivoli per accedere ai box dei condomini. Comunque ci assicurano che è iniziata. Speriamo e preghiamo.
Nei fatti, la provincia di Cremona permane in testa alla classifica del numero dei contagiati per abitanti.
Siamo un territorio anomalo, una striscia di terra con storia, tradizione e sensibilità diverse, difficili da coagulare. Un lembo di Lombardia spesso dimenticato dalla politica, ma non dal virus. Siamo quasi sempre in ritardo e anche in questa circostanza ci sono volute delle settimane per evidenziare il triste primato. Ma siamo un popolo mite e i pugni sul tavolo non li picchiamo mai con energia sufficiente per difenderci e ottenere quello che ci spetta. E viene da citare il poeta chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Dopo la fase orale, caratterizzata da uno storytelling, (fa pari e patta con lockdown) scadente, non consono a chi dovrebbe affrontare un’emergenza biblica, è partita la grancassa sulla Fase due.
Coinvolge una parte anatomica delicata, esposta più di altre al pericolo di sopraffazioni. Il rischio di regredire alla Fase uno è alto. Non è una preoccupazione peregrina o una paranoia.
Le divergenze già emerse sul come affrontare il nuovo corso in arrivo, consigliano di guardarsi alle spalle e proteggere le terga. Di stare vigili.
E’ la fase dove si scontreranno l’esigenza di tutela della salute dei cittadini e quella del lavoro e della produzione, dell’economia in senso lato. Non è acqua fresca. Due esigenza che non sempre coincidono.
Se non si troverà una soluzione equa per entrambe le parti in causa ci sarà uno scontro con effetti più devastanti di quelli causati dal virus.
Con questo conflitto inizierà la Fase tre, la fallica, politicamente la più temibile.
Qualche maschio alfa affetto da priapismo ideologico potrebbe infatti partorire pensieri malsani. Attraverso un uso politico della scienza, nell’apparente legalità del suo agire, tentare colpi di mano. Sarebbe peggio del covid-19. Perderemmo la libertà.
Antonio Grassi