Sostiene il sito Dagospia, molto informato sui fatti che Penna bianca, è pure penna tagliente. Il generale Francesco Figliuolo, il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, è uno che non le manda a dire. Neanche quando scrive. È uscito il suo libro Un italiano, quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande (edito Rizzoli, 304 pagine, 19 euro), redatto a quattro mani con il giornalista Beppe Severgnini, e già non si parla d’altro.

Ecco alcuni passi del libro:

Sulla terza dose «col senno di poi si poteva partire un po’ prima. Ma appena si è capito che era necessaria ci siamo mossi in fretta e bene». D’altronde è un alpino e, per citarlo ancora, «il vero alpino è tutto d’un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere». E allora ci riflette, il generale, poi, tra le pagine del lungo volume-intervista, lancia la prima stoccata.

Destinatari, i virologi e i medici che, da due anni a questa parte, riempiono le tivù. «Ho pensato», dice, «che certe scene potevamo e dovevamo risparmiarcele. Non hanno aiutato la gente a capire». Galli, Burioni, Capua: nel calderone di Figliuolo pare ci rientrino quasi tutti e allora lui precisa: «Ho un sospetto. I virologi, molti dei quali sono bravissimi, in ambito scientifico sono stati un po’ negletti. Non perché la virologia sia una disciplina minore. Però, diciamo la verità, il grande pubblico un virologo manco sapeva chi era. La fama ha fatto emergere nel mondo scientifico contrasti umani e naturali».

E i virologi pare non abbiano gradito…

stefano mauri

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