“Perché vuoi ritornartene a casa? Perdona la sincerità, ma là non vi è più nessuno che t’aspetta, che ci vai a fare? Quando arrivi in caserma i nostri ragazzi sorridono. Sono mica troppe le caserme che hanno a disposizione un papà. Certo che rompi i coglioni con le tue antiche deduzioni da Sherlock Holmes, ma alla fine le tue invasioni di campo hanno sempre pagato. Che cosa ti sta passando per la testa?”

Il pistolotto del capitano Moresco, figlio del maresciallo Calabiano, venne interrotto da una comunicazione urgente: presunto suicidio nei pressi del comune Tal dei Tali, frazione Sorgive.

“Mi immagino il resto. Un povero cristo gonfio come una boa di galleggiamento. Dài, vieni. Non stare lì come un baccalà. Oggi saltiamo il pranzo.”

D’accordo, ma giusto per rimandare di un altro po’ il compimento dei bagagli.

“Il compimento dei bagagli? Ma dove le trovi ‘ste frasi barocche? Andiamo, dai.”

Con tutta la pietà dovuta ai morti, quelli affogati non erano mai piaciuti al maresciallo. Sempre gonfi, sempre mangiucchiati dai pesci, quando non divorati dai topi d’acqua. Carcasse senza più occhi a cui era stata negata anche la dignità di un ultimo pensiero fermato sul viso.

Niente morte in acqua. Con un robusto nastro di tapparèlla malamente attorcigliato attorno al collo ci stava invece il morto. Con la schiena appoggiata alla parete e le ginocchia flesse a reggere il peso del corpo. Sembrava che fosse seduto sul pitale. Tracce di sangue, essiccate, colavano dal naso di un viso sì un po’ paonazzo, ma non per soffocamento.

Suicidio? E come cazzo avrà fatto? Abbassi l’avvolgibile e con il recupero della robusta fettuccia improvvisi un cappio dentro il quale c’infili la testa e poi molli tutto. Il peso della tapparella dà uno strappo verso l’alto, ma insufficiente a romperti l’osso del collo. E fin lì sei ancora vivo e consapevole di ciò che sta accadendo. Ti lascia andare e in questo gioco di contrappesi tra il corpo e la tapparella sopraggiunge il soffocamento. Darsi la morte in questo modo è da coglioni. Siamo in una cascina e se proprio ti vuoi impiccare le travi al soffitto non mancano, le corde nemmeno. Roba da ignoranti, disse ad alta voce.

Ma perché? Il capitano scosse il capo. “Chi muore soffocato da un cappio, lentamente, come vorrebbe far credere questa messa in scena, non è proprio una cosa bella da vedere. Questo poveretto, invece, non ha neppure la lingua di fuori, né vi sono tracce che lascino credere al sopraggiungere di convulsioni. Quel nastro attorno al collo sembra solo un tentativo di nodo di cravatta fatto male, destinato all’appariscenza ma non all’efficacia.  Prima di trarre conclusioni aspettiamo comunque l’autopsia.”

Che altro?

“Il padre del morto, unico parente diretto, misantropo e un po’ fuori di testa, è riuscito  a mettere insieme un incerto ricordo: gli pare di averlo preso a cinghiate, quand’era piccolo. Vive e lavora in cascina. La sua cascina, ha tenuto a precisare mostrandomi, con palese fastidio, quasi insofferenza, i documenti che ne attestano la proprietà. Le scartoffie, le ha chiamate. Per il resto qualche parente alla lunga, cugini di secondo grado, agricoltori. Vedremo.”

Ci sarà da lavorare parecchio, perché le apparenze ci offrono soltanto uno scenario grottesco entro il quale l’unica cosa certa è che non si tratta di suicidio.

“Puoi ben dirlo. Allora ti fermi qualche un altro giorno?”

Sì, tutto sommato le valigie possono aspettare.

 

“Mio caro genitore…” Il capitano era fumantino.

Ho capito, le cose si stanno complicando.

“Eccome. Ecco i risultati dell’autopsia. Il nostro uomo era cardiopatico e quando qualcuno gli ha attorcigliato la corda della tapparèlla attorno al collo era già più di là che di qua. A che scopo inscenare la farsa strampalata del suicidio se chi vuoi eliminare ci sta pensando da solo?”

Forse un matto.

Il fumo sopra la testa del capitano si dissolse: “Noi un matto l’abbiamo a portata di mano.”

E prevediamo che ne verrà fuori una storia sordida, perché con i matti non sai mai dove si andrà a finire, soprattutto se si ricordano di aver conosciuto il valore del lavoro e del denaro.

“Spiegati, maresciallo sibillino.”

L’hai guardato bene il vecchio? Sembra un mulo. Lavora ancora in cascina, dove non si spostano fogli di carta ma si rivoltano forconate di fieno, e quando serve si prende a cazzotti una vacca recalcitrante. Si bestemmia perché la pompa non tira abbastanza acqua dal pozzo e le tegole del fienile sono troppo malandate per resistere come si deve a un temporale.

“L’immagine calza, ma perché i fogli di carta?”

Ti ha mostrato subito i documenti di proprietà. Le scartoffie. Sono una fonte di seccature e il vecchio, per quanto sfumato, lo sa. Lo sa da sempre, ma non molla. Ricorda di aver preso a cinghiate il figlio. Dice che era piccolo, ma in campagna i piccoli smettono molto presto di essere piccoli, salvo che per il padre padrone, per il quale sono sempre creature da dominare, anche da grandi.

“Non ti seguo più.”

La cascina è la proprietà, è l’azienda, è la fonte di reddito che deve essere tutelata anche quando le cose vanno male. Soprattutto la cascina è la storia di una famiglia i cui morti giacciono a poche centinaia di metri, raccolti nel piccolo cimitero del paese, dove i cipressi erano stati messi a dimora da un santo protettore. Eccolo il nostro matto, che forse tanto matto non lo è, se sente ancora così forte il bisogno di non perdere i ricordi. E poi vi sono i parenti, che a volte possono essere serpenti.

“Papà, non incominciare a sospettare di chiunque. Magari hai fame, penso che la solita pizza ti riporterà con i piedi per terra.”

Calabiano Moresco si sfregò la punta del naso e gli passò per il capo di essere sulla strada giusta: “Insisti con i parenti.”

FINE PRIMA PARTE

“Cazzo quasi ci siamo!”

Non approvava il linguaggio da caserma (figuriamoci, proprio lui!), ma vederlo allegro gli dava sempre un senso di sollievo: al momento nessun guaio in vista. Però, diciamola tutta: quando un maresciallo in pensione vede un capitano dei Carabinieri,  sorridere… pensa sempre male, soprattutto se si tratta del proprio figlio. I casi sono due: o si sposa, “regalando” notti d’ansia a quella poveretta che deve avere la testa più dura del muro, oppure pensa di aver concluso positivamente un’indagine. La mamma del capitano aveva capelli sottili ma in quanto a testa dura… Calabiano, lascia perdere.

“Col cazzo, papà, che le hai sparate grosse.”

Non è del tutto matto?

“Toccagli un solo filo d’erba e poi vedi… Va in delirio: ‘Quello che vede qui intorno è tutta roba mia, ho lavorato come una bestia e nessuno me la porterà via!”

Riassumiamo?

“In cascina lavorano solo loro due, padre e figlio, e il giovane si occupava anche della parte amministrativa. I fogli di carta di cui parlavi sono le seccature burocratiche: così com’è adesso l’azienda agricola non regge, bisogna fare degli investimenti. Il figlio chiede un prestito alla banca, dove tutti sono ben educati ma inflessibili come blocchi di marmo. Chiedono garanzie. Queste però non possono derivare dal reddito da lavoro. E allora bisogna ipotecare tutto quanto. Non so ancora come il ragazzo sia riuscito a convincere il vecchio, ma di sicuro deve essere stata una battaglia durissima, con qualche concessione. Perché il papà è sì un poco matto, ma non scemo, soprattutto se si vanno a mettere alla lotteria le ragioni di tutta una vita.”

Fermati, scommetto che ci sono altre scartoffie.

“Esatto. Il morto aveva un’assicurazione sulla vita, stipulata con il consenso del padre, che era anche al corrente  di quel cuore ballerino. Il dettaglio venne tenuto nascosto agli assicuratori, altrimenti il premio da pagare per la polizza sarebbe stato dieci volte tanto e forse anche di più. Riteniamo che la crisi che l’ha stroncato avvenne nel corso di quell’ultima discussione col padre, poco prima che ci avvisassero, e deve essere stata piuttosto accesa: l’ipoteca e il vecchio non ne vuole sapere.”

Manca sempre una cosa: perché quella messa in scena? E i parenti, cosa dicono? Non ci credo che non sapessero delle difficoltà; nascondono qualcosa, qualche vecchio rancore. Torchiali ancora.

“Tu hai in mente qualcosa, vero?”

Se è come penso, dovremo rivedere parecchie cose.

 

Allora, com’è andata?

“In effetti, ruggini antiche con un cugino, anziano e lucido. Sin troppo direi”

E scommetto che adesso arriva il colpo di scena…

“Questi infatti prende da parte il ragazzo e gli propone l’affare: niente banche. Lui ci mette i soldi e si forma una nuova società. Il vecchio, che è rincoglionito, ne deve restare fuori, altrimenti non se ne fa niente.”

Il maresciallo Calabiano annuiva con il capo: e arriviamo al giorno della morte, che è avvenuta tra le 9 e le 10, mentre in caserma la segnalazione è giunto un paio d’ore più tardi, se non ricordo male verso mezzogiorno. L’ipotesi dell’ipoteca non è più rifiutata dal padre bensì accantonata decisamente dal figlio, che spiega solo alcuni dettagli dell’operazione, ma tace sulla condizione sine qua non. Ma non importa perché al solo nome del cugino il vecchio prende fuoco e nasce una lite furibonda. Le reciproche accuse godono di furente libertà finche al giovane, che possiamo immaginare già afflitto da palpitazioni galoppanti, scappano alcune parole che colmano la misura: minaccia l’interdizione per infermità mentale. Al quel punto il vecchio è accecato dal furore, ma non si accorge che il figlio è già stecchito. Lo agguanta per il bavero per impedirgli di cadere e lo spinge verso il muro, la forza non gli manca, e gli gira attorno al collo il nastro della tapparella urlandogli che se la suo ritorno l’avesse ancora trovato in casa l’avrebbe impiccato con le proprie mani. Poi esce senza badare più a nulla.

Smaltiti i bollenti spiriti rientra, mette a fuoco il tragico spettacolo e decide di lasciare le cose come stanno.

“Perché?”

Per l’assicurazione.

“Ti seguo, ma spiegati meglio, qual è la tua teoria?”

Secondo me il vecchio preferisce essere accusato d’omicidio perché se salta fuori che il figliolo è morto d’infarto ci sarebbero state complicazioni a non finire e lui detesta le scartoffie. Il piano è grossolano, addirittura stupido, ma lì per lì non gli viene in mente altro. Quello che gli importa è che l’assicurazione paghi, senza pensare minimamente alle conseguenti sottigliezze legali. Di polizze d’assicurazione ci capisce un bel niente. In altre parole, ha combinato un gran casino e la sua cascina andrà in malora oppure, cosa più probabile, finirà nelle mani del detestato parente. Quando questa cruda realtà gli si parerà davanti agli occhi, vedrai, non reggerà la botta. Gli prenderà un colpo, oppure… oppure qualcuno lo troverà appeso alla trave del fienile.

 

“Allora sei proprio deciso. Te ne vai.”

Sì, qui in caserma mi sento sempre in prima linea e alla mia età si fa fatica a tenere il passo. Diciamo che devo riordinare le idee. E poi…

“E poi?”

Penso anche a quel povero scribacchino che ha incominciato a raccontare storielle sul mio conto. Magari si sarà stancato.

Beppe Cerutti

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