“Vi è sempre una ragione che conduce al suicidio e quando ci troviamo di fronte a simili circostanze i ‘perché’, scava e scava, difettano comunque di qualche dettaglio. Darsi la morte è questione di tragiche sottigliezze, a prescindere dalla ‘spettacolarità’ del gesto.”
Dimmi un po’, mi hai invitato a mangiare una pizza o che altro?
“Fammi finire. Siamo di fronte a un episodio eclatante che balza agli occhi delle persone vive. Pensaci. Quanti si possono permettere un colpo di pistola alla tempia? Pochi. Ma viadotti, ponti, cavalcavia e balconi ce ne sono tanti, ed è roba da poveri. Ci si può anche impiccare attorcigliandosi al collo i lenzuoli del letto, poi però quel cappio improvvisato lo devi attaccare da qualche parte, di solito è una ringhiera. Immagine macabra ma popolarmente efficace. Lo stesso ragionamento vale per la corda. Nelle case d’oggi le travi del soffitto sono un lusso. Vogliamo aggiungere altro? Buttarsi sotto un treno in corsa. Già visto. E neppure ficcarsi il coltello da cucina nel petto è un gesto del tutto nuovo. I farmaci poi, sono un classico, meglio se accompagnati da qualche liquore di marca. Manca qualcosa? Ah, dimenticavo: tagliarsi le vene dei polsi coricato nella vasca da bagno per non sporcare il pavimento. L’elenco sarebbe lungo.”
Insomma, questa persona come è morta?
“Una candela che si consuma finisce col perdere la fiamma, ma un residuo di cera rimane sempre attorno a un piccolo grumo di stoppino annerito. Che ne dici?”
Forse hai bisogno di un po’ di riposo.
“Manca lo stoppino. “
Vuoi dire che non c’è il morto?!
“Gli studiosi della materia definiscono questo fenomeno come incoerente rispetto ai parametri antropologici correnti.”
Che cosa vuol dire?
“In altre parole, mi sembra del tutto inutile pensare a un suicidio se non abbiamo il morto. E non sappiamo dove cercarlo né con precisione che faccia abbia. Nessun parente, qualche frettoloso e svagato conoscente occasionale, la porta di casa chiusa a doppia mandata e l’appartamento vuoto. La segnalazione ci è giunta perché un vetro della finestra che dà sulla strada era rotto ed è rimasto così per diversi giorni. Abbiamo appurato che il sasso è stato scagliato dall’esterno, forse la bravata di qualche teppista ubriaco.”
Magari un avvertimento?
“Non credo. Lo scomparso è, era?, un anziano ex operaio in pensione, vedovo, residente in città da una decina di anni, perché qui era nato, ma aveva sempre lavorato a Milano come manovale in una grossa acciaieria. Era addetto allo smistamento del materiale ferroso, dal piazzale agli altiforni. Tra quelli che potrebbero essere stati suoi coetanei di gioventù, nessuno se lo ricorda. Se non fosse per una immagine sgualcita allegata alla pratica dell’Inps e al relativo cedolino, circa 1200 euro al mese, potremmo dire che si tratta di un fantasma, ma sappiamo che i fantasmi si guardano bene dal pagare regolarmente l’affitto, le bollette di luce e gas, anche se sono poca cosa. L’importo della pensione viene accreditato su un conto corrente postale. Da qui, automaticamente, partono i bonifici per i pagamenti in scadenza. In quanto al telefono, niente, né fisso né portatile.”
Dopo dieci anni in una città come questa ci credo poco che nessuno lo conosca. Ma un contratto d’affitto l’avrà ben firmato con qualcuno.
“Certo, ma il proprietario è morto e gli eredi non sanno assolutamente chi sia il loro meticoloso inquilino. L’abitazione? Quasi monastica. L’essenziale per la cucina, per la camera da letto e per l’igiene personale. Niente libri, giornali, tanto meno qualche altra fotografia oltre a quella di cui sopra; i pochi abiti, la biancheria intima e quant’altro potrebbe essere utili per l’unità cinofila ci ha portato a scorrazzare per tutte le lavanderie della città, ma l’odore della trielina è uguale dappertutto.”
Si direbbe che abbia pianificato tutto quanto.
“Già, ma quando si è oltrepassata una certa soglia d’età, tutto ciò ha un senso?”
Forse sì, perché i ripensamenti fermentano col passare del tempo e in genere si chiamano rimorsi. Vedovo, hai detto. Ripartiamo da qui e torniamo a scavare nel passato. Quando e come è morta la moglie?
“Sappiamo che è morta mezzo secolo fa, poco più che ventenne. Operaia presso una cartotecnica, incidente sul lavoro. E…”
E?
“Quel laboratorio è andato distrutto a causa di un incendio e la donna è morta in seguito alle ustioni riportate.”
Va bene, ho capito. Faccio una capatina a Milano per consultare le cronache dei giornali dell’epoca.
“Non serve, adesso c’è internet. Per il servizio a domicilio basta una parolina da parte del Comando regionale. Com’è la pizza?”
Se prendevo la Margherita era meglio.
“Ecco qui. L’incendio fu doloso e i sospetti si orientarono ben presto sul titolare dell’azienda per una questione di assicurazione. Questi però scomparve all’improvviso e di lui non si seppe più nulla. Dagli esami necroscopici, la donna era incinta.”
Forse ci siamo.
“L’ho sempre detto, meglio di Sherlock Holmes.”
“Benché juventino preferisco Luisito Suarez, che nell’Inter del Mago sapeva costruire raffinate trame di gioco.
“Luisito Suarez? Ma che cazzo c’entra?”
Teniamo i piedi per terra, come Luisito Suarez, ma usiamo la fantasia, perché da questo momento possiamo ricostruire i fatti soltanto sulla base di labili supposizioni.
“Cazzo, chi l’avrebbe mai detto?”
Irriverenza che ti costerà il conto, bevande incluse. Zucca, ascolta. Partiamo dal nostro suicida latitante. Sicuramente era al corrente della gravidanza della giovane moglie e sappiamo come ci si sente quando sei in procinto di diventare papà…
“Be’ io posso soltanto immaginarlo…”
Non fare lo scemo e fidati della parola di tuo padre. Ci si sente bene e con una gran voglia di fare, ivi compreso saltare i fossi per il lungo. Niente ti sembra impossibile e di sicuro non pensi alla morte. Ebbene, quell’incendio non solo ha distrutto le vite che gli erano care ma gli ha cancellato anche l’anima.
Dalle cronache sappiamo che il titolare dell’azienda spendeva oltre le possibilità e quando s’è ritrovato senza credito è ricorso al più stupido degli espedienti per riscuotere l’assicurazione.
Ma invece dei soldi s’è trovato di fronte un uomo distrutto dal dolore e, soprattutto, accecato dall’odio. Una botta in testa e il corpo scaricato in seguito, non so come, tra le cataste aggrovigliate dei materiali ferrosi. Per uno che poteva muoversi indisturbato tra il piazzale e gli altiforni il resto deve essere stata una semplice formalità, almeno sul piano dell’esecuzione materiale, perché con la coscienza i conti non tornano mai. Non mi stupirebbe scoprire che poco dopo la conferma ufficiale della scomparsa del sospettato il nostro fantasma abbia cambiato domicilio. L’alloggio che aveva condiviso con l’amata lo stava opprimendo, troppi ricordi dietro ognuno dei quali si celava una speranza non più realizzabile. Una giustificazione comprensibile, ma che nascondeva anche qualcos’altro e cioè che il crimine commesso potesse venire scoperto.
“D’accordo, sono soltanto supposizioni, però mi pare che la cosa si stia ingarbugliando…”
Sì, ma solo all’apparenza. Abbiamo a che fare con una persona che ha ucciso per vendetta, appagata la quale si è ritrovato alle prese con qualcosa che lo lascia sgomento e anche impaurito.
Se riuscissimo a ricostruire in quale condizione venne lasciata l’abitazione, probabilmente scopriremmo che era ripulita da cima a fondo e magari anche imbiancata di fresco. Ma non si trasferisce qui da noi, perché la cosa avrebbe potuto destare qualche sospetto. Allora cambia domicilio qua e là, forse in camere ammobiliate dove di tuo vi è soltanto l’odore del sudore ma neppure una ricevuta per l’avvenuto pagamento della pigione. Però rimane a Milano, a disposizione degli inquirenti: un nome e una pratica che col tempo sono finiti in fondo a qualche cassetto e chi s’è visto s’è visto. Sappiamo che i sensi di colpa giocano brutti scherzi, soprattutto se hai ammazzato una persona e non riesci a dartene pace. Stiamo parlando di un uomo normale, forse anche credente, e forse proprio per questo non ha mai smesso di convivere con quell’atroce ricordo: la freddezza con la quale ha pianificato un omicidio, ma anche il timore di vedere infangato il nome della moglie, la moglie di un assassino.
“Maresciallo, certo che con la fantasia galoppi.”
Prima ti ho detto che mi sembrava strano che nessuno conoscesse una persona che è vissuta qui per circa dieci anni. Qui puoi passare inosservato soltanto se sei di passaggio e ti fermi per bere un caffè; ma se solo ne bevi due, stai sicuro che qualcuno lo nota. Se parliamo di dieci anni, la metafora calza e la discrezione va a farsi benedire, perché tutti hanno un passato. Dunque, dove potremmo cercare?
“Credo di aver capito dove vuoi arrivare. Qui il lavoro in nero non è una novità e il nostro uomo avrebbe potuto trovare qualche lavoretto non soltanto per arrotondare la pensione, ma per un altro scopo. Però a questo scopo bisognerebbe dare un nome che fa rabbrividire…”
Esatto. Qui c’è una fabbrica che lavora metalli e anche li fonde. Cerchiamo lì, sono sicuro che tra gli addetti al turno di notte troveremo che qualcuno si ricorderà di un anziano “mulettista” che occasionalmente sostituiva gli assenti.
“E che un bel giorno, anzi, una bella notte, s’è buttato nel calderone di fusione. E nessuno ne saprà mai più niente.”
Si chiama espiazione.
“Tu pensi che al Comando crederanno a simili supposizioni?”
Di sicuro no, perché è risaputo che quando è alle prese con una pizza il maresciallo Calabiano Moresco straparla.
Beppe Cerutti