Prima serata del progetto Indie, archiviata. Risultato: il pubblico apprezza. Certamente è stato un venerdì sera atipico per chi, come me, il venerdì si corrode tra il pub e qualche locale che scarica qualche centinaia di decibel alla volta, su corpi ballanti.
Un venerdì sera, quello di ieri, alla scoperta del panorama indie – la musica indipendente – e, perché no, della Crema a cui manca la musica dal vivo. Una serata vissuta in acustico, in compagnia di un duo di Pandino ed uno di Milano. Ma, senza troppi indugi, ecco cos’è successo.
Primo tempo: BLACK COFFEE
Lei, trentotto di piede, il tempo lo tiene battendo quei 24 centimetri di scarpa sul palco. Lui, quarantasette di mano, tiene il tempo sulla cassa della chitarra, con una terza mano udibile ma invisibile. Una performance ben calibrata, interamente acustica, quella dei Black Coffee. Il repertorio spazia da Ibuprofene – brano originale – alla cover di Jump – di cui Van Halen può solo essere onorato. Un repertorio, si diceva, che ha saputo miscelare sapientemente i pezzi dei Black Coffee – purtroppo non ancora incisi per motivi di pigrizia, confessa qualcuno – e cover di pietre miliari della scena internazionale, come Karma Police (Radiohead) e Time is running out (Muse).
Per chi, come me, già li conosceva, è stato un piacere ritrovarli sul palco del Paniere. Hanno confermato la loro bravura ed il loro talento, di cui non si smette tanto facilmente d’esserne affascinati. Per chi, invece, è stata la prima volta, la reazione è stata sicuramente positiva. Il pubblico ha risposto bene, e Marcella e Simone non hanno perso l’occasione per dimostrare il loro immenso valore.
Secondo tempo: THE TRAVELLER
Premessa: Se ascoltare un paio di pezzi – prima di sentire il gruppo dal vivo – è averli “sentiti”, allora credo si debba fare un’eccezione per i The Traveller.
Non perderò tempo raccontandovi che è un progetto di Max Forleo, e nemmeno vi spiegherò chi è quest’ultimo. Vorrei parlarvi di come mi sono sentito, quando il duo composto da Max e Francesco Curatella – un altro, proprio come Simone Giambruno dei Black Coffee, che la chitarra la fa piangere in tutte le lingue che conosce – ha imbracciato gli strumenti e ha detto: ora suoniamo, vediamo se vi garba.
Sfoglio gli appunti di ieri sera per cercare qualche riferimento, ricordi di sensazioni. Nulla. L’unica frase sensata che campeggia in mezzo a mille scarabocchi è: “hanno un suono così pieno, così delicato, che mi sento soffocare”. Qualcuno, addirittura, m’ha confessato: “io ci sento dentro la Puglia”, dove per Puglia intendeva un insieme di sensazioni ed atmosfere che, al tempo stesso, ti caricano e ti depurano da ogni scoria di nervosismo. Credo che questo basti. Se non altro, perché talmente preso dal concerto, mi sono dimenticato di appuntarmi altro.
Ora, credo sia inutile raccontarvi dei loro tecnicismi musicali – di cui, tra l’altro, non so nulla. Ogni canzone del repertorio – prevalentemente estrapolato dall’album Life, farcito di pepite musicali provenienti dal nuovo lavoro Uncensored Kingodom – sembrava studiata a tavolino; nulla pareva essere lasciato al caso. Eppure, a fine concerto, ciò che mi hanno detto è stato: “Sai dove abbiamo provato questi arrangiamenti prima d’ora? Al Paniere, questa sera, durante il soundcheck”. What else?!
Terzo tempo: me ne vado a casa
S’è fatta una certa ora, meglio tornare all’ovile. Ma, nota positiva della serata, ho trovato altri due gruppi da mettere sull’iPod – sempre che i Black Coffee si sbrighino, vero Gian?
Stefano Zaninelli
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