Ho fatto un giro nella nuova Milano. Laddove ero stato forse l’ultima volta negli anni ’90. Una zona che ricordavo come una periferia triste e che adesso mi è sembrata assai vitale. L’ex stabile abbandonato dello Smeraldo trasformato in un Eatlay, corso Como diventato pedonale e fighetto, una nuova piazza dal sapore europeo con grattaceli in cemento e vetro e un nome esotico: Gae Aulenti.
A me, da provinciale, ha colpito. Ma so che a tanti milanesi ha fatto l’effetto del nulla, del vuoto, della plastica che protegge il contenitore vuoto di questo Expo che non si è ancora capito cosa sarà e se sarà soprattutto.
Non mi sembra una brutta cosa che quella che è detta la capitale morale del paese cresca e si modernizzi. Sperando che non sia una crescita all’italiana con sotto qualche cosa di terribile, così come cantavano i Vallanzaska in Expo 2015, uscita nel 2010, facendo dire allo stesso Vallanzasca: “soldi a palate affari, ma per chi? Altro che i miei lavoretti queste si che sono rapine con i contro cazzi, e ve lo dice uno che se ne intende”.
Cose che viste adesso sembrano terribilmente profetiche. Ma obiettivamente fare una passeggiata per Chinatown e non avere l’impressione di essere in Milano Calibro 9 ma in un quartiere colorato e calmo non mi ha fatto un brutto effetto. Così come rivedere l’ingresso dell’Hollywood, che ricordavo del tutto diverso negli anni ’90, o da lontano l’Atm la in mezzo a corso Pontida.
Un aria diversa. Vera? O solo specchietto per le allodole per un provinciale in gita?