Stasera, bevendo un bicchiere di rosso in un bar, ho avuto una discussione con un’amica riguardo un problema tipicamente padano. Oddio, ad essere sinceri, nemmeno riguarda l’intera pianura padana, ma più che altro la Provincia di Cremona e altre poche Province limitrofe.

Il Comune di Sergnano avrebbe voluto aprire la caccia alla nutria, un animale definito alloctono che arrecherebbe danni all’agricoltura, alle rive dei fossi e anche problemi di igiene e di malattie. Il via alle fucilate avrebbe dovrebbe partire a marzo e terminare a settembre: sei mesi di licenza di caccia senza limiti di giorni, orari e nemmeno di territorio in quanto i cacciatori sembra abbiano i permessi per avvicinarsi anche ai centri abitati e a strade, l’ordinanza è stata ritirata a seguito della segnalazione del parlamentare Franco Bordo. Ma cerchiamo di esaminare un attimo la situazione della nostra campagna e del suo cambiamento negli ultimi cinquant’anni.

Dicono che questi animali, destinati ad un vero e proprio olocausto, siano pericolosi per le rive dei fossi. Già, ma se prestiamo più attenzione alla realtà: possiamo notare che ormai sono sempre meno le sponde dei corsi di irrigazione ad avere quelle che io definisco come “le fondamenta” delle rive: le piante. Gli alberi, attraverso le radici, trattengono gran parte dell’umidità che la terra assorbe direttamente dall’acqua del corso (o dalle piogge ultimamente). Credo che questo principio venga insegnato alle scuole elementari, ciononostante i lavori di abbattimento delle piante lungo i nostri fossi (e non solo) procedono a ritmi frenetici. Anche una volta si faceva questo, con la differenza che se si abbattevano dieci piante, altre dieci ne venivano piantate.

Altra causa dei cedimenti delle sponde è la mancata pulizia del fondo e delle rive stesse. A Soresina questo lavoro veniva volgarmente chiamato “la sgÜra” ed era considerato un impiego umiliante, per gente ignorante (da qui il termine a scopo di insulto in forma dialettale “và a  la sgÜra”), ma era più che essenziale per evitare eventuali cedimenti. Si faceva a mano, come tutto del resto, utilizzando solamente dei rastrelli. Ora lo sono pochi gli agricoltori che si occupano di fare questo mestiere così grossolano, e quei pochi che lo fanno al posto del rastrello utilizzano degli scavatori. Pensate che la si faceva persino ai fiumi questa pulizia, col risultato che nei periodi di piena i danni agli argini, ai campi coltivati e agli insediamenti erano decisamente minori di ora.

È evidente che un problema c’è, ma possiamo anche notare che è soprattutto l’uomo ancora una volta a fare il grosso del lavoro di sterminio della natura e non un animale che ormai, visto la sua capacità di sopravvivenza e di riproduzione nel nostro territorio nel corso degli anni, possiamo definire autoctono. I rimedi alternativi alla caccia ci sarebbero ma ovviamente costano tempo e denaro per la Provincia: reti elettrificate da mettere sulle sponde, sterilizzazione della specie per cercare di rallentarne la riproduzione tramite dei medicinali mescolati a razioni di cibo oppure rilasciare nelle nostre campagne delle volpi che sarebbero le sole ad aver diritto di cacciare la nutria. L’intensività dell’agricoltura sta decisamente cancellando le cose più belle che abbiamo in questo schifo di palude che è la Pianura Padana: la campagna, la sua naturalità e i suoi animali.

Anche io vorrei proporre un piano alternativo che potrebbe servire come soluzione del problema: la caccia all’agricoltore. Più animali e meno teste di cazzo nelle nostre campagne.

Pier Solzi

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