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Il thriller (dall’inglese to thrill, rabbrividire) è un genere di fiction che utilizza la suspense, la tensione e l’eccitazione come elementi principali della trama.

Probabilmente è uno dei generi cinematografici più inflazionati ma anche più difficili da realizzare con maestria. Provarci a livello artigianale è senza dubbio una scommessa, farlo sulla distanza del corto richiede ancor di più un maggior coraggio (o incoscienza?).

Con questi presupposti sabato 28 novembre è andata in scena la prima di Il lavoro rende liberi, terza opera firmata dal filmaker cremasco Gabriele Pavesi, di cui abbiamo seguito la realizzazione passo passo in una pagina al film dedicata. Scommessa vinta?

In parte diremmo di si. La storia è assai semplice. Una giovane carina e disoccupata e dal volto e l’aria acqua e sapone viene assunta in un negozio di abbigliamento. Un negozio dal retrobottega alquanto losco. Ma chi è innocente e chi è colpevole? Nel genere il gioco al ribaltamento di ruoli e prospettive è un classico. Va fatto con capacità, seminando nella visione indizi che lo spettatore si rende conto di avere colto solo alla fine della visione.

Pavesi qui gioca un innocente Emilia Scarpati Fanetti, che il pubblico televisivo riconoscerà come protagonista di un noto spot pubblicitario, che si trova in un ambiente degradato. Il mattatore del film, a livello di recitazione, è indubbiamente Dimitri Simonetti, che sa mettere sul piatto un alone maligno notevole. Come notevole è la sensualità messa in campo da Grazia Piccinelli e Divina Schipani, nel ruolo di conturbanti madre e figlia.

Gli altri tre attori sono uno sbilenco e surreale (ma azzeccato) Giancarlo Molaschi, Cristiano Lusardi (pesantemente truccato dal Plitz) e Davide Raimondi. Iniziamo a dire cosa funziona. L’uso delle inquadrature non convenzionale, con tagli veloci da prospettive anonale e l’uso della musica come fattore disturbante.

Funzionano meno altri elementi che dovrebbero creare la tensione. Su tutto alcuni dialoghi, complice anche il suono in presa diretta che impasta un po’ le parole. Le citazioni cinematografiche che servono a far capire la situazione forse sono un po’ troppo cinefile. Anche se la maglietta di Shining è eloquente.

Insomma un bel lavoro. Ben girato, con ottimi set. Poteva essere un attimo più lungo per spiegare meglio alcune dinamiche, come il precedente Profondo rosa poteva invece essere un filo più breve. Ma sono solo punti di vista. Lascia alcuni interrogativi, ma questo ci sta nella dinamica del thriller. Domande tipo: ma il compagno della protagonista è reale o solo una proiezione immaginifica atta a giustificare la storia?

Pavesi adesso, dopo un film surreale, uno musical introspettivo e un thriller, dichiara di voler reinventare la Gagio film a livello documentaristico. Lo ha detto prima della proiezione del film sabato. La mano da documentarista c’è già, sua la firma ad esempio del filmato che accompagna il libro di Mauro Giroletti e Barbara Viviani sulla storia della federazione cremasca del Pci, edito dal Centro Galmozzi.

Certo uscire dalla documentaristica istituzionale e fare u racconto personale di alcune vicende, sappiamo già cosa ha in mente. Glielo faremo raccontare, potrebbe essere difficile. Ma pare che il giovane filmaker cremasco ami le sfide. Staremo a vedere.

Nota a margine. Al termine della proiezione, visto che si trattava di una prima visione, il gruppo degli attori e tecnici ha stappato un paio di bottiglie di spumante (anche di pessima qualità). Per questo è stato maltrattato dal parroco dell’oratorio, manco stesse drogandosi. Vorrei digli che non è certo un gruppo di quarantenni che beve un dito di spumante per festeggiare la buona riuscita di un progetto a rovinare la reputazione di un oratorio. Take it easy che le cose per cui prendersela nella vita sono altre.

Emanuele Mandelli

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