“Maresciallo, sono cinque anni che mi vive di fronte, balcone contro balcone, cinque metri di distanza e in questa stagione, che fa caldo, le finestre le teniamo tutti aperte. Abbia un po’ di comprensione, ma io la pazienza… proprio non ce l’ho fatta più. Sì, maresciallo, mica mi sono messa a urlare, nossignore! Mi sono chetata sul balcone e quando ‘sto fetentone s’è messo strillare un’altra volta, ha tirato il vaso di fiori dentro quel buco che è sempre scuro. Dietro ‘sta tenda sempre stesa si vedeva una lucina azzurrina e ‘n’altra che mi pareva uguale a una candela. Lui se n’è uscito sul balcone per vedere quello che stava a succedere e io lo stramazzato al secondo colpo, un vaso di gerani. Che niente niente l’avessi mancato, pure quelli col basilico, la salvia e il rosmarino gli avrei scagliato, a ‘sto infame. Sono sicura di averlo centrato in fronte e quando lui ha detto ‘ma checcazzo è’, l’ho mandato ‘affanculo stronzo’ e so’ rientrata. Il tonfo pure io l’ho sentito, sì, di lì a poco. Marescia’! So’ innocente! Dal balcone mica l’ho buttato io ‘sta povera creatura…”

Per chissà quale cosmico mistero, sospettoso nei confronti dei nomi complessi, la vedova Scavalcatetti, all’anagrafe Giovanna Sifolati, d’acchito l’aveva indotto al dubbio. Calabiano Moresco intuiva però che la donna stava dicendo la verità, tutta la verità. Forse perché si chiamava Giovanna, nome semplice, lineare, consueto, gradevole. Insomma, credeva all’imputata, perché di omicidio era accusata, nonostante i cognomi che si portava appresso sia da nubile che d’accasata.

Purtroppo c’era di mezzo un vaso di gerani e la poveretta sarebbe stata trascinata in tribunale per rispondere della morte di Lucentino Barbieri, pensionato, ex operaio senz’arte né parte, incline alla mezza di rosso, una per volta, e ai richiami dell’azzardo. In particolare s’era incaponito nei tornei aziendali di “tressette a perdere”, oppure “tressette a non prendere” oppure, ancora, “trisètt ciapa no”, secondo il dialetto locale. La migliore prestazione fu l’accesso ai sedicesimi di finale del torneo del 1977.

Lucentino, eh? Se anche lui si fosse chiamato Giovanni, probabilmente sarebbe ancora vivo, magari solo, com’era, però come tutti quelli che perdono la mano a carte nel vociare di un’osteria e poi s’incamminano verso casa cercando di trovare una scusa plausibile per chetare la moglie. Finalmente entrato in carico all’Inps con un assegno pensionistico sì dignitoso ma non sufficiente per poter pagare le iscrizioni ai tornei circondariali, il suddetto fece la scoperta che l’avrebbe portato alla dipartita: il computer, delle cui potenzialità non gliene fregava assolutamente niente, fatti salvi i “giochini” con le carte. Fatale fu l’incontro con “Hearts”, versione sofisticata del gioco preferito: mano dopo mano accumulando sconfitte però senza perderci un quattrino d’iscrizione e, cosa stupefacente, con la possibilità di poter insultare gli avversari (virtuali) senza avvertibili contraccambi di pernacchie o altre pesanti amenità.

Moresco “cliccò” su “start”, poi su “programmi” e ai “giochi” andò alla voce “Hearts”: al cuor non si comanda e chi supera i 100 punti perde la partita. Ok. Tappeto verde con quattro giocatori nominati: in basso la dicitura “Carabinieri” (“Come cazzo sarebbe a dire? Che qui dentro si gioca d’azzardo?”), poi alla sinistra “Giovanna”, di fronte “Davide” e alla destra “Roberto”. “Selezionare tre carte da passare a Giovanna”. “Passa”. “Ok”. Via con la prima mano fino a esaurimento carte. Finestrella: Carabinieri 0, Giovanna1, Davide 4 e a Roberto 21. Altra mano: selezionare carte, sempre tre, da passare a Roberto. Poi altro giro con carte da passare a Davide. Una giostra, al termina della quale il paziente Calabiano fu sbattuto fuori con 113 punti; Davide 70, Roberto 39 e Giovanna 17. Nel corso della partita, per ben tre volte, Giovanna gli aveva rifilato la “Peppa”, vale a dire la Donna di Picche, vale a dire 13 punti, vale a dire “cazzo, ma questa qui ce l’ha con me!” Alla quarta partita il maresciallo aveva incominciato a odiare Giovanna. Alla quinta, Peppa sul tavolo in seconda mano su una giocata di quadri, sempre proveniente da Giovanna. Moresco non si trattenne: “Ma vaffanculo, brutta zoccola!”

“Signora Sifolati, ricapitoliamo. Erano circa le 21 quando il signor Lucentino proruppe nell’urlo che l’ha turbata, giusto? Disse ‘Giovanna sei una ….”

“Di peggio, maresciallo!”

“Mi può fornire qualche particolare in più?”

“Maresciallo! Con tutte le finestre aperte, sentirsi dire che sei puttana e pure vecchia… insomma… Poi dove abito ci sono anche bambini… Capirà, spero.”

Eccome no! Lucentino Barbieri, che della signora Giovanna Sifolati proprio non gliene fregava niente, l’aveva a morte con la Giovanna del computer, che non solo vinceva un casino di partite ma l’irrideva a suon di “Peppe”. Così da mesi e così, da mesi, il quartiere era venuto a conoscenza che Giovanna era una donna poco seria. Anzi, assolutamente da evitare. Vai a spiegargli che ‘sto scimunito s’era drogato col personal computer!

“Ma lei, signora, con il vaso di gerani, ha preso la mira?”

“Proprio alla capoccia ho mirato, ma il vaso mica era di coccio… macché… con quello che costano i vasi oggi! ? ‘Na robetta de plastica… però il geranio era buono, che poi l’avrei messo in una bella terrina, di quelle lunghe, rettangolari…”

“Signora! Il Lucentino dopo la botta è caduto dal quarto piano!”

“Povera anima…”

Già, ma come spiegarlo che quando uno riceve una botta in testa non si sa mai da che parte va a cadere. Col geranio in testa il Barbieri s’è rigirato su se stesso, ha picchiato un’altra capocciata contro il muro, è barcollato e ha mancato l’appiglio della ringhiera.

Puffete.

“Puffete?” ribadì il giudice incredulo.

“Una donna che ha ancora le ciglia da vampiro, gli occhi da cerbiatta, il naso alla francese e le labbra mediterranee non può mentire, soprattutto se ha i capelli grigi.”

Beppe Cerutti

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