Innanzi tutto un’annotazione curiosa: è stupefacente come questi molluschi diventino socievoli quando incontrano qualcuno che sa apprezzare il loro sense of humor.
Ma procediamo con ordine, cominciando col precisare che la buona riuscita del piatto inizia dalla pescheria. Considerazione banale, direte, ma è importante assicurarsi che i suddetti cefalopodi discendano direttamente dalla celebre piovra magistralmente descritta da Jules Verne in “Ventimila leghe sotto i mari”. Non è necessario che abbiano le medesime dimensioni, anzi è sconsigliabile, tuttavia bisogna verificarne il carattere, lo stato umorale: più sono bizzosi e maggiori garanzia si hanno.
Siamo a casa con il nostro bel cartoccio di tentacoli e crapini allungati. Provvederemo a lavarli per bene, perché ormai non si sa più che cazzo fluttua nelle acque marine. Quelli che avevo scelto io avevano la cartella clinica incorporata, ma il luogo di provenienza veniva specificato in maniera assai vaga: pescati nel mare. Abbastanza per tranquillizzare anche il più cavilloso degli ecologisti.
Si diceva all’inizio del sense of humor di queste creature. Ce n’era uno che di starsene tranquillo sotto l’acqua corrente proprio non ne voleva sapere e salta di qui e salta di là decide di atterrarmi sulla crapa pelata. Mi fa, mellifluo come una ventosa: “La riga come la vuoi?” “Da bambino la portavo a sinistra.” “Oh oh oh, vecchio mio, farò il possibile, oh oh oh.”
Lo so, sto divagando, ma provate voi ad affettare cipolla e aglio per il soffritto con un Octopus vulgaris sulla testa. Vado avanti: quando l’Alium cepa e l’Allium sativum sfrigolano per bene si prende la “brancata” degli invertebrati e la si distribuisce a piaggia nella padella e lì la si lascia per alcuni minuti, giusto per fare conoscenza con i padroni di casa belli imbionditi. Le solite formalità: buongiorno io sono la cipolla, buongiorno io sono l’aglio e voi chi siete?” “Onde in mezzo al mar.” “Ah sì? E da dove venite?” “Cazzo, lo appena detto, veniamo dal mare.” “Oh bella. Hanno lo stesso odore di petrolio che ha la pancetta quando facciamo il ragù, non trovi?”
Onde evitare eccessive confidenze, dopo cinque minuti si pone fine alla ricreazione con un diluvio di vino bianco di tempra dura, ché se è buono per i carrettieri figuriamoci per quei quattro stronzetti.
“Calma, vecchio mio”, mi disse l’inquilino del piano di sopra, “io sono astemio.”
Dopo circa dieci minuti di bollitura al Grecanico, si aggiunge una bella spruzzata di passata al pomodoro e non preoccupativi se nella padella c’è ancora tanta acqua. Deve fare blob blob per altri venti, belli tranquilli a fuoco basso. Nel frattempo si sceglie tra piselli o patate, magari anche tutti e due, perché no? tanto a noi che cazzo ce ne frega? Infine giunge l’ora fatale del destino: si butta la verdura (patate ben sminuzzate) e si aggiunge il resto della salsa di pomodoro allungata con l’acqua. Uno scottone di almeno altri 20/25 minuti. Piselli e/o patate assorbono, ostia se assorbono, quindi tenete sotto controllo. Assaggiate: se il polipetto è morbido quasi come la pasta scotta, vai con una spruzzata di prezzemolo tritato e un giretto di succo di limone. Se avete avuto pazienza fin’adesso, un altro paio di minuti sono una cazzata.
“No, il limone no” disse l’affittuario sovrastante, “mi mette i brividi.” Poi morì per una overdose di forfora da calvizie, refrattaria a qualsiasi tipo di shampoo.
Beppe Cerutti