Era l’ultima volta che si affacciava, da quella finestra, privilegio per pochi, su quella vista mozzafiato: si perché la visuale dal suo ufficio di sindaco su piazza Cuomo pochi giorni prima di Natale, con l’albero natalizio acceso vicino alla chiesa consacrata a Gesù Crocefisso, beh se non era mozzafiato, veramente ci mancava poco. Già era il suo ultimo mese di dicembre da presunto burattinaio, intendiamoci: mica li muoveva lui tutti i fili, di Breda, città sapida solo per via del suo piatto tipico, il Tarello a pasta ripiena saporita che a lui faceva schifo, ma che ovviamente fingeva di apprezzare, soprattutto nelle occasioni ufficiali, poche per la verità, a esso dedicate.
E voleva godersele tutte quelle feste natalizie lui, che tutti, maggioranza, a parole che poi in pochi andavano davvero d’accordo, naturalmente in primis pensavano si ricandidasse. Notizia questa per la verità ufficializzata direttamente dal sindaco in carica, cioè da colui il quale ora alla faccia dei divieti, in una sera di dicembre, si stava fumando, direttamente dal suo ufficio, un bel Toscanello all’anice, addirittura quasi un anno prima. Sì perché, Serafino Romaldo, borgomastro di quella strana, cattiva e chiusa cittadina ruffiana che si credeva metropoli, mentre alla fine era sono un paesone paesano, esponente di spicco del Dp, partito forte nonostante le apparenze, che in modo particolare a Breda reggeva alla faccia dei disastri nazionali e dei Seistelle ruffiano movimento di protesta, che tra uno strillo e quattro urla alla luna a sinistra, al centro, alla Lega e a destra di voti ne mangiavano, era determinato a ritirarsi? Destra e leghisti dati alla mano lì in terra bredasca, alle prossime amministrative, quasi certamente avrebbero rimediato un flop epocale, solo una candidatura importante, nomination tra le altre cose individuata, ma tuttora in stand by, avrebbe salvato l’attuale opposizione. Quindi come mai, lui, predestinato a bissare il mandato, l’erede vincente dell’ex sindaca Antonia Tronfaldi, dalla scorsa primavera in parlamento dopo due mandati amministrativi, allora, aveva deciso di mollare?
Il tutto era nato la sera prima, quando al solito Motel di Todi, con la moglie che lo credeva a Mitano, il vicino capoluogo regionale per una cena politica, la giovane Mirella, sua amante da mesi, dopo la consueta scopatina nella vasca idromassaggio e dopo aver indossato lo splendido orologio Gagà che lui le aveva regalato, si era lasciata scappare una cosa non da poco. E quelle parole: <Fino tesoro, alcuni spifferi vicini al tuo movimento danno per certo che entro i primi giorni di gennaio dovrebbe arrivarti un avviso di garanzia in merito all’appalto relativo alla costruzione del nuovo stadio in città. Non so cosa stanno architettando, ma qualcosa ti raggiungerà. Sei già stato scaricato, con la tua attuale vice che ti sostituirà nella corsa elettorale> – proprio non uscivano dalla testa. Ora per carità: un avviso poteva dire tutto e nulla, senza dimenticare che in merito alla politica degli appalti poteva dormire sonni non tranquilli, tranquillissimi.
Fanno bene a indagare gli inquirenti per carità, soprattutto in quanto la nuova proprietà del Real Breda, team calcistico locale tornato in auge dopo secoli d’oblio, composta tutta da forestieri provenienti da varie parti d’Italia, lui manco la conosceva benissimo; quindi al massimo poteva aver vigilato poco, lasciando i risvolti dell’affaire ai burocrati del partito, ma la sua coscienza era pulita che il suo unico vizio: il sesso, lo manteneva coi soldi che il suo povero babbo gli aveva lasciato dopo aver ceduto la storica ditta di utensili a una multinazionale. Ergo la cosa che proprio non digeriva era che il partito, con quella vice imposta a suo tempo, in tempi non sospetti per controllarlo, l’avesse scaricato a prescindere e senza manco avvisarlo. Così aveva deciso, anche se di Mirella, eterna aspirante giornalista – soubrette da lui piazzata in una tv locale da quattro soldi, non si fidava: poteva benissimo essersi inventata tutto, opportunamente imbeccata, quella troietta, ma Serafino Romaldo il casino l’avrebbe provocato da solo annunciando le sue immediate dimissioni da primo cittadino e il ritiro dalla scena politica, dopo quasi cinque anni di militanza da militante con tessera puramente formale, per trasferirsi a Lanzarote per curare l’azienda vitivinicola della mogliettina. Il tutto alla faccia di tutti e che si fotta il Dp.
Fu allora che prese l’I Phone dalla scrivania, gettò il mezzo toscano a terra, si affacciò alla finestra per godersi il panorama su piazza Cuomo in versione natalizia e compose il numero del suo ipotetico rivale del centrodestra: il libero professionista prestato alla politica, il jolly in naftalina che mai si decideva a sciogliere le riserve Antonio Lamari: <Ciao Tonio, intanto auguri e buon Natale. Hai deciso? Ti candiderai? Ehm … ascolta, domani potremmo vederci da Tonino Tronetti in quel suo ristorantino appartato di Vrescore? Sai dovrei parlarti urgentemente>.
Stefano Mauri
A parte l’orologio Gagà, brand di tendenza reale e vincente, tutto il racconto è inventato e frutto della fantasia di quel pirla dell’autore che ha provato a scrivere quattro balle natalizie.