Care concittadine, cari concittadini, ci ritroviamo oggi, un anno dopo l’ultima Marcia per la Pace, con il cuore pregno di sentimenti di fatica. Pesante, angosciato e frustrato per la traiettoria imboccata dalla situazione globale, mossasi in senso contrario rispetto agli aneliti di pace che in questa stessa piazza avevamo condiviso come comunità cremasca tutta, unita e coesa pur nelle sue articolazioni e diversità. Gli scenari internazionali si sono ulteriormente deteriorati. Ovunque volgiamo lo sguardo, impattiamo con nuove e vecchie ferite che continuano a sanguinare, sempre più copiosamente. Emorragie di umanità. La guerra, quella stessa guerra che la nostra Costituzione ripudia con tanta fermezza come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, non cessa di calare la propria scure su popoli, nazioni, bambini, donne, uomini. Vite. Al contrario, estende il suo dominio in un effetto a catena che allarga il perimetro delle sofferenze, rendendo la condizione geopolitica sempre più simile a quella Terza Guerra Mondiale a pezzi di cui il Papa ha parlato con dolorosa lungimiranza. Le tragedie su cui riflettevamo lo scorso anno sono ancora più acute: la violenza e l’ingiustizia, che dovrebbero appartenere ad un passato che abbiamo giurato di non ripetere, si ripresentano con rinnovata ferocia, insinuando un atroce dubbio: è forse il conflitto un metro insopprimibile, benché insopportabile, delle relazioni umane, di cui l’orologio della storia ciclicamente, ineluttabilmente, batte l’ora? Ma, al contempo, aprendo uno spazio di rinnovato impegno e di speranza, per chiunque: se anche fosse questa l’avvilente conclusione dell’analisi storica dell’esistenza umana, non vale la pena lavorare, sempre ed oggi, anzi, con ancor più convinzione, per ritardare il ritmo di quella lancetta, per dilatare il più possibile il tempo della Pace e della Giustizia tra i popoli, qui ed ora, nel frammento di eternità che ci è dato da vivere? Non avvertiamo tutti quanti il richiamo innato all’esercizio di quella responsabilità intrinseca al dono della vita che consiste proprio nel rispetto e nella tutela dell’altrui esistenza? In Palestina ed in Israele due popoli lottano per la sopravvivenza, in una spirale di conflitto alimentato da opposti, ma alquanto simili, estremismi che disconoscono lo stesso principio di un mutuo riconoscimento del diritto ad esistere nell’unica, autentica prospettiva di pace rappresentata dalla soluzione dei “due popoli, due Stati”. In Ucraina la guerra ha assunto proporzioni devastanti, coinvolgendo milioni di civili che ogni giorno devono fare i conti con la perdita dei propri cari e la distruzione delle proprie case, di intere città. Un conflitto che ha sconvolto il cuore dell’Europa, trascinando il mondo intero, e che continua a sfidare la nostra capacità di rispondere con soluzioni diplomatiche, umanità e visione di prospettiva. La Siria? Un conflitto ormai così lungo che i più hanno smesso di parlarne, in quella che probabilmente è la dimensione più drammatica di una tragedia: la sua normalizzazione. Lo Yemen: un conflitto di cui si parla e si conosce troppo poco, ma che ha creato una delle peggiori crisi umanitarie del nostro tempo. Milioni di persone soffrono la fame, la sete, la malattia, mentre la guerra continua a devastare ogni speranza di pace e ricostruzione. L’Iran, con la prospettiva di un coinvolgimento diretto in un conflitto fino ad ora prevalentemente condotto per interposta persona. Senza dimenticare, infine, il Sudan, il Myanmar e tutti gli oltre cinquanta conflitti attivi del 2024, il numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Possiamo essere spettatori passivi ed affranti, vinti dalla rassegnazione, dal disincanto o pefino dal cinismo. Oppure usare le nostre armi: marciare. Senza bandiere, se non quella universale della Pace; senza appartenenze, se non quella al genere umano; senza gridare, se non attraverso il silenzio del nostro rispetto per le vite perdute. Marciare e dar seguito all’impegno unanimemente assunto in Consiglio Comunale nel richiedere “al Governo Italiano, attualmente Presidente di turno del G7, di mettere in atto le azioni di negoziazione che portino ad un “cessate il fuoco”, garantendo misure umanitarie urgenti e promuovendo una conferenza di Pace sotto l’egida dell’ONU, rimarcando l’obiettivo di puntare ad una soluzione diplomatica che assicuri il reciproco riconoscimento dei diritti dei due popoli, palestinese e israeliano, e la fine di un conflitto ucraino-russo che sta dividendo ulteriormente i due popoli”. Ma al contempo, per sentire qui ed ora, forte, il senso di un impegno, “a proseguire nella promozione di iniziative locali che favoriscano il dialogo interculturale e interreligioso all’interno della città di Crema, al fine di rafforzare l’integrazione e la convivenza pacifica tra le diverse comunità presenti sul territorio”. Concludiamo questa marcia con la consapevolezza che la Pace non è mai un dono piovuto dal cielo. Da esso cadono sempre più bombe; mai, invece, condizioni che non necessitino dell’operosità degli uomini. La Pace non è un’astrazione, ma il frutto di una responsabilità. È nelle nostre mani, nelle nostre determinazioni quotidiane. In ogni angolo del mondo è un “qui ed ora” frutto di una scelta. Qui, ora, a Crema stiamo costruendo la Pace. E quanto sarebbe bello, cari concittadini, ritrovarci insieme, il prossimo anno, non più per sperarla per ogni donna e uomo della Terra, ma per celebrarla come una conquista. L’unica conquista che conta davvero.
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