A 45 anni, Mario Melazzini, medico e attuale presidente dell’Aifa, l’Agenzia Italiana per il Farmaco, scoprì di essere malato di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), terribile malattia degenerativa. E fu l’inizio di un lungo percorso di accettazione dei propri limiti, per arrivare alla consapevolezza che una malattia che mortifica e limita il corpo non significa necessariamente l’impossibilità di una vita piena e realizzata.   Un percorso iniziato il 17 febbraio 2002 quando il piede sinistro non è riuscito ad agganciare il pedale della bicicletta per i 40 chilometri di corsa quotidiana. Nel libro  ‘Lo Sguardo e la Speranza. La vita è bella, non solo nei film’ (San Paolo) racconta senza filtri e senza sconti la propria storia  con uno stile che colpisce per schiettezza e trasparenza.

Ripercorrerà le tappe della sua odissea per il pubblico del Caffé Letterario sabato 14 maggio,  in sala Pietro da Cemmo del centro culturale Sant’Agostino, con inizio alle 17,30. La presentazione sarà scandita dagli intervento musicali del duo Enrica Fabbri (soprano) e Simone Bellucci (chitarra). L’ingresso è libero.
Anche questa serata è resa possibile grazie al fondamentale contributo degli sponsor che sostengono l’attività del Caffé Letterario di Crema: Formazienda, il Fondo paritetico interprofessionale per la formazione continua, Associazione Popolare di Crema per il territorio, Banca Cremasca, Fapes di Sergnano, Comitato Soci Coop di Crema, libreria Il Viaggiatore curioso di Crema, Icas di Crema, il quotidiano La Provincia di Cremona e Crema

Non è e non si considera  un superuomo, Melazzini. Il Libro di Giobbe sempre sul comodino (la vita del personaggio biblico è provata da un dolore inspiegabile), il suicidio assistito già prenotato nell’estate del 2003 in una clinica svizzera (dove non si è mai presentato), il bisogno costante di badanti che lo lavino, lo preparino per la notte, gli somministrino le medicine e lo attacchino al ventilatore e alla pompa per nutrirsi, il medico conosce il senso del limite: «A un certo punto ho cominciato a non guardare più indietro – racconta nel libro -. Ma a chiedermi che cosa, anche nelle condizioni in cui ero, avrei potuto fare».

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