Se ti chiami Messiah Marcolin e sei mezzo tenore naturale che diavolo di musica puoi metterti a fare? Fare canzoni tipo Black Sabbath in Svezia facendo capire a tutti che Ozzy Osbourne ha l’estensione vocale di un paracarro. Tre giorni dopo il trasloco nella nostra sala prove demenzialmente nuova usciva il primo disco dei Candlemass. Nella città giocattolo c’era il Marterock, l’annuale raduno musicale che si teneva in un fetido buco che adesso è diventato posteggio, e si chiama appunto buca. Proprio di fronte ad un’azienda industriale alimentare che emette zaffate di odore chimico che stordisce. Se ti chiami Marino Bocelli e sei un mezzo tenore naturale puoi solo cantare canzoni che paiano scarti dei primi Judas Priest. Nomen omen in ogni caso no? Un messia svedese e un Bocelli ante litteram segnavano quel martedì di inizio estate. Un disco che sarebbe diventato storico e un demo che nessuno in realtà si ricorda, entrambe con un titolo tra il geniale ed il demenziale: Epicus dominus metallicus per i Candlemass ed Il Negromante per i Nevrotic Sisma del Bocelli ante litteram. Era la prima volta che una band metal seria arrivava nella città giocattolo. In realtà una band storica metal era passata l’anno prima, avevo anche sentito il concerto pur non sapendo di chi si trattava realmente. Erano i Vanadium. Me ne innamorai. Il loro disco dal vivo uscito quella stessa estate fu uno dei primi vinili che comprai, per l’acquisto mi ero pure venduto un giocattolo, in fondo l’infanzia era finita da due tre anni. La ragazza del retro copertina di Live on street of danger mi manda in tempesta ormonale ancora oggi. Quanti anni avrà? Ho scoperto poi che era originaria del capoluogo di provincia della città giocattolo. Credo che se la dovessi incontrare per strada la riconoscerei ancora oggi. Il retro copertina di quel disco conteneva tutto. Una donna sensualissima in completo di pelle nera, molto fetish, appoggiata ad un muro di mattoni. In mano una catena. Sul muro un poster di un concerto dei Vanadium. Con una mano che stringe una chiave inglese, in vanadium appunto. Il vanadio è l’elemento 23 della tavola periodica degli elementi chimici. Il suo simbolo è la V. Un elemento raro, tenero e duttile. Assieme al cromo forma la lega che da vita alle chiavi della Beta. Già da qualche anno vedevo quella scritta tutti i giorni, sulle chiavi fredde e umide che manovravo in officina. A terra c’era una bottiglia di Jack Daniel’s vuota ed un paio di lattine di birra. Genialmente trash, e senza la h della musica che stava nascendo in quel periodo nella Bay Area.
Qui serve un inciso. Lo stile inventato dai Metallica a San Francisco si chiama thrash, con due h, che significa martellante. Ma spesso si pensa che sia trash, spazzatura. Per 20 anni abbiamo dovuto lottare per dimostrare che quella h in più cambiava tutte la carte in tavola. Adesso che anche il thrash è storia e siamo al revival e alle celebrazioni dei ventennali dei dischi, alle tournée trionfali dei Big 4 che riempiono stadi e riviste, tutto è cambiato. Ma cazzo, la sera del 10 giugno del 1986 era l’alba.
Anche la provincia aveva un gruppo decente che aveva fatto un demo recensito abbastanza bene da HM. Quei cazzoni che organizzavano il Marterock se ne erano accorti e li avevano invitati a suonare nella città giocattolo. I Medalllo avevano una sala prove ed erano riusciti ad arrivare sul termine di tre canzoni senza impigliarsi in qualche passaggio assurdo. Mi mancava solo una donna con cui la sera, con una birra in mano, ascoltare i sei brani lunghi ed articolari di Epicus dominus metallicus. Ma questo purtroppo non è un fottuto romanzo d’amore e di sesso. Non arriverà nessuna donna nelle prossime pagine, state tranquilli. L’unico tra noi che aveva una vita sessuale non solitaria era Fabrizio, la storia con Melissa sembrava perfettamente instradata. Che fortuna che aveva a stare con una donna che si faceva chiamare come un disco dei Mercyful Fate.
Il disco fondante dei danesi era stato pubblicato nel 1983, tre soli anni ma era già un classico, una pietra miliare del metal. Io personalmente non lo amavo troppo quel disco la vocina in falsetto di Kim Bendix Peterson, alias King Diamond, non mi ha mai particolarmente convinto. Non ho mai avuto il coraggio di ammetterlo, Melissa in realtà l’ho recuperato solo pochi anni fa in quelle edizioni celebrative che vanno di moda ora.
Eravamo in prima fila io, Fabri e Massimo. Tutti lì a bocca aperta a guardare i Judas Priest della bassa. Dopo il concerto mi fiondai nel retropalco con un registrarorino. Intervistai Marino come se fosse una star, credo che si sia divertito parecchio. Avevo la malsana idea di mettere in piedi una fanzine da distribuire nella nuova sala prove. MetlAnti l’avrei chiamata.
In cantina avevo una macchina da scrivere, una Olivetti linea 98 che mi era rimasta sul groppone dai tempi del tentativo abortito di frequentare l’istituto professionale per il commercio, prima di andare a lavorare. L’intervista a Bocelli sarebbe stata la cover story del primo numero. Insomma me la cantavo e me la suonavo da solo. Probabilmente nessuno avrebbe mai letto quel pezzo. Ma io sognavo di diventare un corrispondente di HM. Che bello! Mi avrebbero mandato i dischi a casa da recensire, avrei avuto un sacco di cose da spacciare al pub, i Medalllo avrebbero potuto fare cover di band sconosciute spacciando i brani quasi per loro. A giugno del 1986 la polvere del crollo delle mura di Gerico cominciava ad alzarsi.

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