E all’improvviso ci siamo ritrovati tutti a cantare: “shot through the heart, and you’re to blame. Darlin’, you give love a bad name”. Ovviamente con onomatopea, senza chiederci realmente cosa stavamo urlando. La traduzione di quel ritornello killer, messo ad inizio brano per fiaccare subito la resistenza, fa più o meno così: “colpito al cuore, ed è colpa tua. Cara, tu fai fare una brutta figura all’amore” Terribile.
Eppure You give love a bad name è considerata, dalle solite classifiche che non si sa bene chi cacchio le stili, la canzone numero 20 tra le 100 più belle dell’hard rock di tutti i tempi dei tempi amen. Il videoclip era stato girato poco più di un mese prima dell’uscita dell’album. L’11 luglio 1986. Concertone patinato e cotonato dei Bon Jovi al Grand Olympic Auditorium di Los Angeles. Classico video hard rock anni ’80. La band suona ed il pubblico è in delirio. Il video ha cominciato ad andare in rotazione dura su Videomusic dalla seconda metà di luglio. A seguito stavolta anche le radio si accorsero del potenziale commerciale della canzone. Il chiomone cotonato di Jon Bon Jovi iniziò ad apparire dappertutto.
Era l’ultimo atto del crollo delle mura di Gerico della musica pre heavy metal. In realtà per definire metal il rock patinato di Bon Jovi ci vuole del coraggio notevole. Ma i singoli di Slipperywhen wet e di The Final countdown degli Europe hanno portato migliaia di persone ad abbeverarsi alla fonte del metal. E come con qualsiasi dipendenza i nuovi kids ne volevano sempre di più e il 90 per cento di loro abbandonava presto le levigate sonorità bonjoviane per buttarsi nel metal più oltranzista. Dai cori patinati da classifica a cullarsi la notte con gli Slayer il passo era assai breve, tutti così a parte la mia cuginetta persa appresso al bel Jon. Lei non abbandonerà mai del tutto lo spinello bonjoviano a favore dell’eroina dell’estremismo metallico.
E così mentre cominciavano a sbucare band che in quattro e quattr’otto mettevano assieme un repertorio di cover da classifica del momento, sì le juke box band nascono in quel periodo, i Medalllo proseguivano cocciutamente a fare solo pezzi degli Iron Maiden, e a farli dannatamente male.
Oddio sono passato a parlare in terza persona. Dopo Ferragosto qualcuno cominciava a riapparire. Fabrizio era impegnato al 100 per cento nell’allestimento della Festa dell’Unità. Oramai era Paolo il titolare della batteria. Ma non aveva ancora tirato un solo colpo sulle pelli. Mauro era tornato dal mare. Aveva ancora il polso ingessato, avrebbe tolto il gesso a fine agosto. Oramai il bianco del gesso non si vedeva quasi più. Tutto ricoperto di loghi delle band metal.
L’iconografia nel metal è una cosa fondamentale. Il modo in cui il nome della band è scritto è codificato. Metallica, Megadeth, Iron Maiden, Ac/Dc, Kiss. Tutti avevano un font personale che codificava il logo della band. Anche noi, visto che suonare non si poteva ancora, cercavamo di disegnare qualcosa che potesse diventare il biglietto da visita. Intanto avevamo scoperto che avevamo fatto bene a mettere tre elle nel nome. Medallo, con due elle, è il nome di una catena di locali spagnoli, sulla scia dei mitici Hard rock cafè, che avevamo imparato a conoscere e a mitizzare dalle riviste. Quando saremmo stati famosi avrebbero potuto farci problemi. Con una elle in più ci sentivamo al riparo dalle turbe di avvocati incazzati e dall’accento spagnolo che venivano a cercarci pretendendo di spillarci tutti i soldini che avremmo sicuramente guadagnato con la nostra musica. Già la nostra musica.
Quel lunedì pomeriggio facendo due passi in centro avevo visto la vetrina di un negozio di dischi che nel bene e nel male ancora esiste. Allora se la tirava tutto col jazz, al contrario del mitico Videoclip che oramai aveva sbracato sul metal. In vetrina c’era già il vinile del disco dei Bon Jovi uscito quel giorno. Di solito nella città giocattolo passavano due tre settimane prima che le novità arrivassero. Ma oramai si era capito che il metal tirava e le distribuzioni erano precise, rapide e implacabili.
Una copertina terribile. Uno sfondo nero e umido con su scritto con delle dita che avevano tracciato il titolo del disco nelle goccioline di umidità: Slippery when wet. Scoprimmo poi che era stato un ripiego. Il titolo del disco significa scivolose se bagnate, si riferisce alle ragazze di un club di striptease che la band frequentava in fase di registrazione e dove le ragazze si cospargevano di acqua e sapone. Una sera il tastierista David Bryan cercò di afferrarne una che scivolosa com’era gli sfuggì via. Urlo: slippery when wet, fu subito chiaro che sarebbe stato il titolo del disco. In copertina avrebbe dovuto esserci un enorme paio di tette saponate. Quando la notizia circolò il Pmrc, l’associazione di genitori moralisti guidata da Tipper Gore, la moglie di Al Gore (alla faccia del progressista) si mosse per denunciare la band.
La copertina fu cassata e alla fine fu scelto uno scatto sciatto fatto a caso. Lo stesso Bon Jovi traccia il titolo con un dito su un sacco di spazzatura umido. Il disco, nonostante la copertina terribile, vende 33 milioni di copie.
Noi intanto veniamo a conoscenza delle decine di associazioni di genitori che odiano il metal. Chissà perché viene aborrito. Testi terribili e icone poco raccomandabili musicalmente ci sono sempre stati, e c’erano anche allora, e non sono i musicisti metal ad essere stati accusati in vita di pedofilia. Si lo so Burzum ha ammazzato il chitarrista della band rivale e ha mangiato il suo cervello. Forse è meglio cambiare discorso. Insomma il metal ha dato molta carne al fuoco di fila dei genitori preoccupati per la salute dei propri figli. La storia più famosa era iniziata pochi mesi prima, a Sparks una cittadina di 66 mila abitanti persa nel nulla del Nevada. Quel giorno i due adolescenti James Vance e Ray Belknap, dopo aver strabevuto e strafumato, si sparano in faccia con un fucile a pallettoni. Ray muore, James sopravvive. In ospedale scrive una lettera da cui viene tratto un passo: “io credo che l’alcool e la musica heavy metal, come quella dei Judas Priest, ci hanno condotto o almeno ci hanno illuso nel farci credere che la risposta alla vita era la morte”, a parte che il ragazzo non sapeva scrivere, scoppia un putiferio. Qualche anno dopo morirà di overdose. Sul piatto del giradischi di casa il pomeriggio che si sparò c’è Stained class, disco del 1978 dei Judas Priest. In quel disco ci sono un paio di canzoni additate come maledette: Beyond the realms of death e Better by you, better than me, che ascoltata al contrario si dice nasconda un messaggio subliminale che recita: fallo, fallo. La cover poi mostra una testa trapassata da un raggio argenteo.
Insomma la colpa non è dello schifo di posto dove i due vivevano e dell’abuso di droghe e alcool ma dei Judas Priest che vengono denunciati. Il cantante sentito al processo, con humour nero tutto inglese, disse che sarebbe stato assurdo che la band inserisse messaggi per fa suicidare i propri fan, al massimo avrebbe messo messaggi pubblicitari per vendere più dischi.
In quegli anni un caso simile aveva interessato Ozzy Osbourne. Il 26 ottobre del 1984 il diciannovenne John McCollum si era suicidato dopo aver ascoltato il brano Suicide solution, contenuto in Blizzard of Ozz. Tutti e due i processi videro l’assoluzione degli imputati in base all’emendamento della costituzione americana che garantisce la libertà di espressione.
Noi di inglese capivamo poco. Ci sentivamo comunque al sicuro da eventuali messaggi subliminali. Qualcuno aveva provato a sentire i dischi al contrario, per vedere l’effetto che fa, finendo per rompere le cinghie del giradischi. Insomma avevamo concluso che gli americani erano le solite teste di cazzo.
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