Da questa settimana inizia la pubblicazione a puntate del romanzo Medalllo, un libro ambientato nella Crema metallica degli anni ’80.
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Il mio sogno, uno dei miei tanti sogni, è sempre stato quello di salire su di un palco. C’è una foto fatta nel cortiletto scalcagnato dove abitavo da piccolo, che mi ritrae con un paio di amici ed una cuginetta. Li avevo agghindati tutti con strumenti giocattolo e messi in fila stile gruppo beat, con tanto di cappellini ridicoli. Da piccolo passavo ore ed ore a mettere i 45 giri gracchianti di mia madre nel vecchio mangiadischi bianco e rosso Penny e a fingere di suonare sui pezzacci beat da juke box con una chitarra giocattolo scordata. Ho scoperto poi, più avanti, l’arte della air guitar, la chitarra d’aria, che permette incredibili evoluzioni. Si fanno tanto di concorsi e festival di questo strumento inesistente. Da non credere. In realtà la chitarra ho iniziato a strimpellarla molto avanti, dopo i 35 anni. Così, un giorno mi sono svegliato ed ho deciso che dovevo suonare anche io la chitarra, mi avrebbe fatto bene alle dita artropatiche. Così ho acquistato da uno strano giro di collaudatori di strumenti una fiammante Sg della Epiphone. Va beh, da qui a suonarla come i miei idoli ce ne passa. Ma rimane il fatto che ho sempre sognato salire su di un palco e di avere una band, la mia band.
Il 31 dicembre del 1985 era un martedì. Prima di uscire di casa per una trita e alcolica festa di fine anno avevo sentito di sfuggita il messaggio di auguri del presidente della repubblica, era la prima volta di Francesco Cossiga, “molti sono i problemi che dobbiamo ancora insieme affrontare”, cantilenava il futuro picconatore dal piccolo schermo, già questa è una storia di problemi. I miei sonnecchiano davanti alla tv. Stretto nel mio pesantissimo chiodo bisunto, con la mia bella cintura borchiata che faceva due giri attorno alle mie magrezze, con la maglia degli Ac/Dc sopra la felpa, con poche lire in tasca scendo le scale. Ho 16 anni e da un paio di anni ho scoperto l’heavy metal. Quella musica del demonio che fa rizzare i peli sulle braccia dei genitori, e lo farà sempre e per sempre, per citare De Gregori, anche quando i riflussi sdoganeranno tutto ed il contrario di tutto. Ci sarà sempre una bestiadisatana, un cazzone depresso che si tira un colpo in testa ascoltando i Judas Priest, un cretino perso da qualche parte nel nulla che contribuirà ad alzare la soglia di attenzione verso la musica del diavolo. Oggi nel mondo è uscito il primo vero disco dei tedeschi Helloween. Walls of Jericho viene pubblicato in tutta Europa dalla Noise, una delle etichette discografiche che per prima ha capito, assieme alla Roadrunnmer, che qualcosa sta per succedere. Sì, va bene, in Inghilterra c’era già stata la new wave of british heavy metal, per gli amici da ora nel resto del libro Nwobhm, e gli Iron Maiden sono già delle mezze star. I Metallica hanno già pubblicato due dischi, apprezzati dagli addetti ai lavori. Ma nessuno si immagina cosa sta per succedere nei 365 giorni che compongono il 1986. Manco per il cazzo lo so io che sto iniziando a farmi un minimo di cultura metallica. Guarda caso assieme alla cuginetta della foto di cui sopra, e cercando di coinvolgere uno dei due amichetti dello stesso scatto. Ma non ci cadrà mai. Nella città giocattolo però qualcosa si sta rompendo. Ci sono dei gruppuscoli di metallari che si ritrovano nelle cantine ad ascoltare quel misconosciuto gruppo che la misconosciuta rivista, di cui si è vista la fotocopia di un ritaglio che un amico ha recuperato, tramite un amico comune del cugino che è stato a Londra e cazzo a Londra è nata la Nwobhm e noi ci si immaginava che in ogni locale si trovassero ai tavolini e sui palchi: Saxon, Angel Witch, Tank, Demon, Samson, Raven e Venom.
Il disco che lancia il power metal europeo che è uscito oggi io invece lo sentirò tra qualche mese, relativamente poco in quel periodo in cui le notizie come detto viaggiavano in modo alquanto carbonaro. Un disco che racconta nella canzone che gli da il titolo una storia biblica. Quella dell’assedio alla città di Gerico con gli Ebrei che per sei giorni girano alla cazzo e a vuoto attorno alle mura della città. Dalle mura i soldati di Gerico sghignazzano come dei deficienti. Poi ad un certo punto suona una tromba, un suono possente, e senza che ci sia un motivo. Badabum. Viene giù tutto. Una metafora perfetta per il 1986 dell’heavy metal. Fino ad allora noi avevamo girato attorno ai fortini delle classifiche mondiali con le nostre chitarre distorte ed i nostri oscuri dischi. Dall’alto quelli che ascoltavano i Duran Duran o Michael Jackson ci guardavano e sghignazzavano. Ma nel 1986 viene giù tutto, ma come detto noi non lo sapevamo mica ancora. Da allora però immagino sempre questa cosa quando sento la voce tagliente di Kai Hansen da Amburgo cantare delle mura di Gerico viste dagli Halloween. Che disco. Canzoni tiratissime in doppia casa ma molto melodiche. L’anno prima il gruppo aveva scritto per un mini-lp la canzone Victim of fate, vittima della fatalità.
Il ritornello recitava più o meno: “vola alto a toccare il cielo. Non so il motivo per cui si finisce vittima del destino”. Banale, in inglese suona meglio lo so.
Il destino mi attendeva quella sera lì, che mica me lo aspettavo. Il capodanno era stato squallido. In un capannone che durante l’anno fungeva da deposito per i pullman. Un freddo cane, musica di merda, i peggio successi del 1985. Quello era stato l’anno di We are the world. Ma anche di Wild boys dei Duran Duran, e poi dei tormentoni dei Simple Minds, della colonna sonora del film Ghostbusters, degli Spandau Ballet, degli Opus di Life is life, di Den Harrow e di Tarzan Boy di Sussudio di Phil Collins… uno schifo.
Alla fine io e il gruppo metallico di piazza Garibaldi eravamo disgustati. Figuriamoci dopo aver sentito la band che gli organizzatori avevano ingaggiato per la serata. Quattro fighetti leccati che avevano proposto il peggio della disco del decennio precedete. Era giunto il tempo che la città giocattolo avesse il suo primo gruppo heavy metal.
Il gruppo fu presto formato. Le due chitarre erano quelle di Massimo e Stefano, uno stava imparando a suonare da solo e cazzo avremmo scoperto che aveva un tocco della madonna. L’altro aveva anche studiato, il fratello maggiore era chitarrista di una band new wave della città giocattolo. Va bene: adorava gli U2 ma si poteva passare sopra a questa pecca. Al basso si inserì Mauro. Di suonare la chitarra non gli veniva bene, avrebbe provato a cimentarsi con le quattro corde. Alla batteria Fabrizio, ne aveva una in cantina ereditata da uno zio che suonava il liscio. E io.
Io non sapevo suonare un cazzo: avrei cantato.
Il nome della band arrivò subito. “Saremo i primi a suonare metallo pesante in questa landa desolata”, si esaltò Massimo, poi urlò “metalllllloooooo”, ma era raffreddato e l’urlo che si alzò al cielo la mattina del primo gennaio del 1986, mentre l’alba sbucava dal cielo freddo, lì davanti al deposito di pullman dove la festa di capodanno stava rantolando gli ultimi spasmi, suonò più o meno così: medalllllooooooo. E Medalllo fu.