Non riesco a piangere. No, non sempre. Ma ora che ho avuto in modo casuale la notizia e la certezza, non riesco a piangere.
Tutto è fermo lì, in quell’abbraccio forte , liberatorio nel piazzale dell’autogrill. Dove ? Non lo so, non lo ricordo. Era Memo la mia memoria storica; lui sapeva sempre quando e dove , ricollocava i miei ricordi intensi e nitidi nello spazio e tempo giusti, io ancora adesso non sono capace. Mi avvalgo di migliaia di fotografie e agende e appunti, ma niente il mio sentire resta così: nitido come se fosse oggi nel tempo della vita e nello spazio che occupa il mio corpo.

Quel corpo che tu hai stretto forte e sono sparita dentro la tua cassa toracica. Il pensiero era : torniamo indietro, riavvolgiamo il percorso, stiamo ancora uniti e così anche Memo con noi.
Memo ci aveva lasciati da poco, ed io non avevo potuto andare al funerale . Memo era morto ed un vulcano aveva eruttato non so dove e tutti i voli in Europa erano sospesi, le navi per l’isola, dove ho deciso di vivere, erano stracolme di persone.

Così ritornai in Lombardia dopo una settimana, ma ancora adesso fatico a collegare il lutto, la morte a Memo. I riti collettivi servono a questo e io, l’ho mancato. Quei pochi giorni di abbracci e lacrime nella terra dove ho lasciato la mia famiglia sociale , non ci diedero modo di incontrarci. Ma l’universo sa quel che fa .
Di ritorno da una visita per mio figlio, chiesi che ci si potesse fermare in quell’autogrill. Avevo bisogno di un caffè e protestai perché fui seconda ad andare in autogrill . Quando uscii e mi avviai verso l’auto, posteggiata insolitamente dietro l’autogrill, intravvidi al mio orizzonte stanco  quattro persone vestite tutte di colori scuri con abiti comodi.  Cercai di mettere a fuoco, e a pochi metri ti riconobbi. Gigi che ci facevamo lì ? Era così particolare e commovente. Tornavi con il gruppo di cui eri fonico dal concerto del primo maggio a Roma.

Quell’abbraccio lo ricordo ancora, voglio dire , lo sento.
Non lo so, penso sia l’ultima volta che ti vidi.
Ma non ci siete né tu né Memo ad aiutarmi, e questo mi sta un poco riempiendo gli occhi.
Ma no, niente si scioglie.
Del resto forse è giusto che siate insieme come vi avevo conosciuto.
Eravate inseparabili, una amicizia invidiabile.
Vi scambiavano per fratelli, gli invidiosi per coppia.

La piazza era quella del Rouge, dove vi trovavate sempre  e poi riunioni in una birreria con un soppalco. Riunioni per cosa ? Un centro sociale a Crema o cos’altro? Ho fatto così tante riunioni e battaglie che non ricordo. Era il mio primo periodo da single, dopo una breve convivenza naufragata e stavo bene, riuscivo ancora a condividere il mio tempo e le mie speranze in un mondo diverso, più giusto.
Tu eri davvero affascinante. Avevi un modo di corteggiare classico ma pieno di ironia punk con la quale smorzavi le tue avances.
Lavoravi molto con tuo padre e questo ai miei occhi costituiva una attrattiva in più. Ho sempre lavorato duramente e so che chi lavora manualmente acquisisce una dimestichezza concreta anche nel pensiero.

La differenza la fece la velocità. Memo ed io giravamo allo stesso ritmo e questo fece che mi avvicinai più a lui. Ci fu solo un minuto di imbarazzo nel fartelo sapere ma la vostra amicizia coinvolse anche me e non ci fu nulla che si frappose, mai.

La tua sana competizione con Memo che dava luogo alle vostre lunghissime discussioni piene di passione per la vita. E quanto si rideva di questo. Insieme, insieme.
Il tuo senso di protezione che sfociò in quella sera al Leoncavallo. Eravamo al bar del Leoncavallo  come in molte altre occasione , ma non c’era un concerto ma una assemblea con banchetti di informazione. Un ragazzo piuttosto carburato mi stava dando il peggio di sé, appoggiandosi alla mia spalla per biascicare non so quali imperdibili parole, mi stava infastidendo. Tu con un sorriso gli battesti alla spalla come dire “Dai, su , smettila” Lui reagì da duro a parole davvero fuori luogo per chi ha quel tasso alcolico e tu gli desti un buffetto su una spalla , come dire “Dai, togliti”. Vidi il tuo sorriso ed il ragazzo , complice l’equilibrio perso da tempo , fu proiettato a tre metri di distanza. Memo coniò subito la parola d’ordine che dovevamo usare per rivolgerci a te : “IO AMICO !” e giocammo così a lungo, almeno fino al gioco successivo.
Eri stato un giocatore di rugby e si vedeva.

Ma si vedeva anche la tua sensibilità semplice sorridente della quale non avevi paura.
Quando Mela, il cane che stava con me da 14 anni,  morì io persi per un mese ogni desiderio di sorridere. La cagnetta che mi aveva liberamente scelta con la quale esercitavo la mia libertà ovunque di giorno e di notte nelle passeggiate più belle che possa ricordare.
Ero al bar Mazzini, di fronte al mio negozio di artigianato, sola e triste.

Gigi, ti ricordo. Arrivasti con il tuo sorriso migliore e l’aria da scherzetto e una mano dietro la schiena.
“Vediamo cosa dici adesso ! Prova a dire di no!”
e mi allungasti da dietro la schiena , sopra il tavolo la cosa pelosa più stupida e meravigliosa che mi illuminò la vita da quel momento per molti, molti anni. Un gattino siamese di circa un mese con occhi di un blu incredibile , Blu appunto.
L’amicizia che ci aveva portato addirittura a condividere giorni di vacanza, una bestemmia per l’unione tra Memo e me.

Arrivasti a Syros  con la tua fidanzata di allora e il tuo vero amore “The Beast” la moto.
Avevamo trovato una casa a duecento metri dal mare con un cortile e un tavolo in pietra sul quale ogni mattina la proprietaria ci faceva trovare fichi e frutta per la colazione. L’appartamento era il retro di questi botteghini di alimentari dove trovi TUTTO, altro che i cinesi.
La prima notte la passammo insonni: in tre . Russavi come non avevo mai pensato fosse possibile, forse questo incideva sul nervosismo della tua compagna, ma è senno del poi.

Al mattino durante la colazione da record ricordo il tuo volto alle nostre parole circa la nottata.
Era del bambino che finge di pentirsi ed essere sconsolato per ciò che ha combinato ma che in realtà si è divertito troppo per farsene carico come sbagliato. Quel bambino era vivo in te.
Anche quando in spiaggia ribadisti la tua intenzione di ritornare a mangiare e al nostro sguardo sbigottito, esordisti con “Ma è almeno un’ora che non mangio “
Il volto di Memo si illuminava quando parlava con te. A turno vi concedevate il ruolo del più grande, più maturo, più esperto, salvo dopo alcuni minuti smontare tutto, mandare tutto all’aria , complici.

Complici fino ad andarvene nello stesso modo, lasciando tutti un poco così, con la secchezza in gola.
Non riesco a piangere, ma forse è ciò che non volete proprio da me.

Anna Borghi

(ricordo degli scomparsi Luigi Galmozzi e Memo Gazzoletti)

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