“Come lei ben sa, caro maresciallo, le scritte sui muri deturpano l’immagine della nostra bella cittadina. Sono atti vandalici che vanno perseguiti dalla legge, a maggior ragione quando imbrattano le facciate degli edifici pubblici, luoghi sacri alla democrazia e culla della nostra illustre storia secolare”. Esaurito il pistolotto istituzionale, pronto per ogni occasione con le varianti richieste dalle contingenze del caso, il sindaco chiese il permesso di accendersi un sigaro: “Gradisce? Li ha portati mio figlio da Cuba, dove è stata di recente in vacanza.” Moresco fece un cenno di diniego con la mano ma non oppose ostacoli alla richiesta del Primo cittadino. Molti anni prima aveva ingaggiato una guerra personale contro il fumo, con qualche buon risultato ma senza riuscire a chiudere del tutto la partita: aveva ridotto notevolmente il numero delle sigarette e quelle poche che si era lasciato a disposizione le fumava di nascosto dentro il bagno quando era in servizio, con maggior libertà quando si ritirava nel piccolo alloggio di cui disponeva nella caserma. Un compromesso poco dignitoso ma, cazzo, i carabinieri mica son fatti di ferro!

Guardò le fotografie che l’ospite aveva disposto in bell’ordine sulla scrivania: “Immigrati non lasciateci soli contro i leghisti”. Concetto efficace, premessa a una possibile linea d’azione, ma anche un messaggio agonico, residuo di un passato ridotto a una facezia intellettuale. Se le ricordava quelle frasi, frutto di un copione cinematografico di successo e apparse subito dopo lungo alcuni sottopassaggi della metropolitana milanese: “Marx è morto, Lenin è morto, e anch’io non sto molto bene.” I fatti s’erano incaricati di dimostrare la validità di un’intuizione politica tutt’altro che generica, ma nel frattempo quel mal interpretato materialismo storico aveva lasciato dietro di se una folle scia di morti ammazzati. Non che paventassero un rigurgito terroristico simile a quello degli anni di piombo, ma il fastidio era palese perché la mano beffarda aveva tracciato l’appello proprio sotto le finestre dell’ufficio del sindaco, eludendo parzialmente la testimonianza delle telecamere fisse. Un’azione che per una piccola città di provincia assumeva le stesse proporzioni di un’incursione condotta da guastatori esperti in manovalanza. Insomma, un “commando fai da te” con un credo preciso: “Aiutati che Dio t’aiuta”.

Il filmato, infatti, durava una decina di secondi e mostrava un paio di persone ben mimetizzate e munite di una lunga asta con uno straccetto posto all’estremità. Entrarono nel cono visivo degli obbiettivi per oscurarli in pochi attimi. Il resto era lì, ben visibile a tutti i cittadini di passaggio e amplificato dalle foto apparse sui media locali: due quotidiani più uno on line, tre settimanali; tutti quanti liberi, indipendenti e schierati con maldestri accorgimenti dissimulatori. Nel caso in questione, però, s’erano accomunati nel sarcasmo letterario, e non solo nei confronti dell’autorità municipale.

“Signor sindaco”, stava chiedendo Moresco, “lo sa che per il solo fatto di essere stato a Cuba il suo figliolo rientra nella lista dei sospettati?”

Il fumo “habanero” gli andò per traverso causandogli una perdurante lacrimazione e violenti colpi di tosse, ma alla fine si riprese: “Andiamo… Ogni anno decine di concittadini vanno da quelle parti. Lo sanno anche i sassi e poi qui le teste calde locali si contano sulle dita di una mano e mio figlio non rientra tra quelle! Mio figlio è andato a Cuba per cimentarsi nella pesca d’alto mare. Sa, ha letto molti libri di Hemingway e le uniche barbe che frequenta sono quelle missionarie.” Il militare represse un ghigno feroce: cinque castristi dichiarati contro un centinaio di altre rispettabile persone di sesso maschile che i calori se li fanno venire sotto la cintura. Non c’è proporzione, neppure aggiungendo qualche “scheggia impazzita”.

“Era solo una battuta, non se la prenda signor sindaco. Nel frattempo che intende fare con quella scritta?”

“Ho già dato disposizioni per farla cancellare. Prima sparisce e meglio è, soprattutto per il rispetto che porto ai consiglieri di minoranza che siedono in aula consiliare. Certamente risentono del convulso momento che sta vivendo il loro partito, ma sono comunque cittadini eletti dal popolo, non dimentichiamolo! Proprio adesso, cazzo! Mi scusi maresciallo, ma a giorni andrà in aula una mozione del Carroccio intesa a contrastare il nostro progetto di concedere uno spazio per la preghiera dei musulmani! Capisce? Provocazione e strumentalizzazione messe insieme…

Lei piuttosto, ha fatto tutti i rilievi del caso? Tipo di vernice, esame calligrafo, identificazione dei soggetti comparsi nel filmato… Le cose sue, insomma, e proceda con mano dura. Siamo di fronte a un cancro che va estirpato.”

Di fronte all’ennesima manifestazione del miracolo che annunciava la scoperta dell’acqua calda, non era il maresciallo bensì l’uomo Calabiano Moresco a rimanere attonito perché, allo stato delle cose, di un pentolino appena posato sul fuoco si trattava. Certo… il liquido messo a bollire poteva rivelarsi troppo carico di sale e se ciò accadeva ai politici locali cominciava a bruciargli il culo. Niente di nuovo, anche per un borgo sonnolento come quello.

“Può procedere, ma si assicuri il lavoro di una ditta specializzata, altrimenti col tempo la scritta ritornerà a galla. L’alternativa è quella di scrostare il muro.”

 

Facile profezia.

Come sempre alle prese con un bilancio tiranno, il gran capo e la sua giunta avevano optato per la soluzione meno costosa, mettendola in conto all’assessorato ai Lavori pubblici, quello che più di tutti gli altri assorbiva soldi pubblici per opere urgenti, non rinviabili, dal rifacimento di alcuni tratti delle fognature alle pezze provvisorie sulle strade per evitare incazzature agli automobilisti i quali, ogni qual volta un ammortizzatore inviava lamenti agonici, non mancavano di ricordare agli amministratori il loro fondamentale ruolo di contribuenti e di elettori. Di mala voglia, ma suo malgrado, l’assessore competente iscrisse la spesa imprevista alla voce “manutenzioni straordinarie”, impartendo disposizioni precise: frugare nei vetusti magazzini comunali, trovare una pittura coprente adatta alla bisogna e, soprattutto, olio di gomito. Alla svelta!

Fu così che sotto le finestre dell’ufficio sindacale andò prendendo forma una vistosa striscia di biacca grigiastra, tanto insistita quanto inefficace: la frase incriminata, sia pure provata dai ripetuti passaggi delle pennellesse, tornò a emergere pochi giorni dopo con una tinta incerta, simile a quella di una buccia di mela calpestata e marcita sotto la pioggia. “Fatte le debite proporzioni”, disse un passante, “sembra una lapide di Spoon River.” Frase che rimbalzò immediatamente sulla scrivania del Primo cittadino, inducendolo a mettere in pratica il piano di riserva: ripulire il tutto e ricoprire la scritta con una vernice dello stesso colore rosso. Quando i lavori iniziarono, era l’alba e agli addetti fu promesso il pagamento di ore straordinarie, un nutrito gruppo di pensionati s’era già radunato tutt’intorno al cantiere improvvisato, ognuno solerte nell’apporto di consigli, indicazioni, supervisioni in prospettiva. Ne scaturì una fiammante linea retta alta una trentina di centimetri e lunga circa tre metri, che ben presto divenne oggetto di commenti insidiosi, nonché di ripetuti sopralluoghi da parte di tutti quanti gli sfaccendati del circondario.

 

Non fu affatto sorpreso quando l’appuntato, con aria sorniona, gli annunciò la visita del pubblico mandatario, pervaso da una trattenuta indignazione che è propria a ogni personaggio politico consapevole della poltrona che occupa e infastidito scoprendola improvvisamente scomoda.

“Maresciallo, bisogna fare qualcosa!”, disse togliendosi dalle labbra il sigaro e annientandolo sul posacenere che Moresco, opportunamente, aveva tolto dall’ultimo cassetto della scrivania. “Sto diventando lo zimbello della città.”

“Vedo che si è dato ai Toscani. Ottima scelta. Sigari di carattere, puzzolenti quanto basta per conferire il dovuto pathos all’indagine in corso.”

L’eminente personaggio, perché così s’era proposto d’apparire al cospetto di quel tipo che gli ricordava, chissà perché, un gatto menefreghista, registrò ma non raccolse la battuta. La riserva contava ancora un buon numero di pezzi: Hoyo de Monterrey, Cuaba Divinos e, naturalmente, Cohiba.

“I miei informatori”, stava dicendo il maresciallo, “mi dicono che sta per essere licenziata una delibera di giunta che autorizza un supplemento di spesa per intervenire sulla parete della Torre imperiale, dov’è il suo ufficio… e quello che ci sta sotto.”

“Lei ha delle spie nel palazzo comunale?! Inaudito!”

“Sì, sono queste”, e da sotto la scrivania trasse i quotidiani degli ultimi giorni. “Basta saper leggere tra le righe. Questo è di settimana scorsa: ‘L’assessore ai Lavori pubblici dice che il Municipio necessita d’interventi di manutenzione’. L’assessore al Bilancio aggiunge il giorno dopo: ‘Stiamo predisponendo una serie d’interventi in linea con i nuovi bandi regionali. Fondi a tasso agevolato per abbellire i centri storici in vista dell’Expo’. E così via. L’ultima dichiarazione è dell’assessore alla Cultura, architetto specializzato in interventi di restauro su edifici storici: ‘Le facciate del Palazzo comunale si stanno deteriorando’. Magari le mie sono conclusioni affrettate, però neppure i giornali vanno tanto per il sottile…”

“Illazioni, solo illazioni. Lei sa bene quanto me che l’anno prossimo ci sono le amministrative e in quest’ultimo periodo qualsiasi giunta, ripeto qualsiasi giunta, dà vigore agli interventi pubblici. Quelli citati rientrano nel pacchetto d’iniziative che stiamo predisponendo e che riguardano anche i servizi sociali, l’istruzione, le attività commerciali, lo sport… Piuttosto… Maresciallo, le parlo da uomo a uomo… Chi è stato quel mascalzone che mi ha messo in ridicolo?”

“Dal filmato siamo riusciti ad appurare che per oscurare con gli stracci le telecamere fisse sono state usate delle canne da pesca telescopiche. Questo spiega perché nessuno dei cronici vagabondi notturni che abbiamo fermato e interrogato al proposito ha confermato di aver visto in giro gente munita di lunghe pertiche. Inoltre, la comparazione grafica tra la scrittura rinvenuta e le altre che sovente hanno imbrattato i muri della periferia, dice che la mano è differente. I giovani e insofferenti grafomani dei Centri sociali li conosciamo tutti quanti e sappiamo chi si mangia le unghie e chi soffre di disturbi intestinali. Da escludere, inoltre, qualsiasi coinvolgimento della comunità islamica. Non rimane che la pesca d’altura.”

Fino a quel momento il sindaco era rimasto in piedi, per conferire maggiore autorevolezza alla sua immagine di amministratore pubblico. Ma a mano a mano che il dubbio si stava impossessando degli ingranaggi cerebrali, sentiva venirgli meno la consapevolezza del ruolo che i cittadini gli avevano affidato. Chiese il permesso di sedersi.

“Come ha fatto ad arrivarci?”

“È stata una sfida romantica e clandestina, forse dovuta a letture disordinate, che hanno navigato lungo la corrente del golfo fino alle cronache consumate dai benpensanti. Oggi sono messaggi a cui non diamo più credito, perché la scritta sul muro è nulla rispetto al pontificare di un opinionista televisivo. Però… c’è sempre qualcuno che non demorde. E rischia di suo, perché imbrattare i muri è perseguibile dalla legge. E, come allora, non lancia messaggi disperati, ma un provocatorio invito alla riflessione. Se nessuno presta attenzione alle mie opinioni… Sappiate che oltre l’orizzonte del mare ci sono altre cose, magari diverse, sicuramente scomode rispetto all’opinione imperante entro le nostre mura. Naturalmente sto divagando.” Toccò a Moresco chiedere comprensione e complicità estraendo una sigaretta dall’ultimo cassetto in fondo alla scrivania. “In una città piccole è provinciale come questa, il nostro giovane eroe ha fatto leva sulla predominante mentalità borghese, nella consapevolezza che il risultato sarebbe arrivato in quanto funzionale al conformismo vigente. Serviva soltanto una frase efficace.”

“Ma perché, sapendo che mi avrebbe comunque danneggiato?”

“Provi a fare una indagine in famiglia”.

Beppe Cerutti

 

 

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