Troppe notizie in pochi giorni in Italia danneggiano gravemente la popolazione. Oltre che l’informazione. Basta fare un passo indietro di una settimana (o qualche giorno più) e ci troviamo la fotografia di un Paese allo sbando che inveisce contro la classe politica nazionale ed europea per il sempre più pressante problema dell’immigrazione. Responsabilità dell’Italia o dell’Europa?
Questo è il dilemma. Poi arriva il terremoto in Nepal: un’ondata di amore e di comprensione verso quella terra lontana riempie il cuore dell’italiano medio. Incollati davanti alla televisione a vedere immagini di villaggi ridotti in macerie, persone recuperate ancora vive dopo giorni sotto le proprie case crollate, templi e monumenti storici di una cultura millenaria (senza possibilità finanziarie eccelse) ormai persi per sempre.
Guardando Studio Aperto (il TG preferito dell’italiano medio), con quelle musiche drammatiche e quelle scene al rallentatore, è ovvio che si prova compassione. “Quanto vorrei poter essere là a dare una mano!” o addirittura “Se tutti quei bambini potessero venire qui li accoglierei a braccia aperte povere anime…”. “Povere anime” già… come quelle povere 950 anime morte in mare davanti a Lampedusa su un barcone di 23 metri carico su tre livelli di immigrati? “Bé no… quelli potevano stare a casa loro!”.
Anche i morti del Nepal non hanno avuto lo stesso peso. È ovvio che chi è morto tentando di scalare l’Everest “se l’è cercata!”. Proprio come i due alpinisti italiani morti sotto la valanga mentre cercavano di portare dei medicinali ad un’anziana signora in un villaggio. Anche loro potevano evitare di essere sull’Everest in quel momento, con una montagna di 8000 metri non si scherza. Paolo Panigada è morto durante un concerto, mentre portava avanti la sua passione. Non stava sicuramente scalando l’Everest, ma nessuno merita di morire nel momento in cui si sente la persona più libera e realizzata per ciò che sta facendo.
Ma passano i giorni e l’informazione non può aspettare! Si avvicina l’EXPO, l’inaugurazione ufficiale e le polemiche annesse. Nella giornata del 1° maggio Milano vive un clima di guerriglia urbana: dal corteo NO EXPO si stacca un numero imprecisato di black block che inizia a prendere di mira vetrine di banche o di multinazionali, automobili, negozi e chi più ne ha più ne metta.
Il 2 di maggio il presidente della Regione Lombardia Maroni stanzia un fondo di 1,5 milioni di euro per risarcire gli abitanti di Milano danneggiati dai manifestanti. È ovvio che l’italiano medio si indigna davanti a queste cose! Lo stesso italiano medio che poche settimane prima inveiva contro la televisione alla vista di un qualsiasi politico (di qualsiasi partito che sia ben chiaro), “Lavoriamo per mantenere quei ladri lì che ci sono a Roma! E Noi?! Ci avanziamo solo gli spiccioli del nostro stipendio! Tutti a casa a calci nel culo!” grida l’italiano medio dal suo divano inneggiando principi di rivoluzione e di anarchia. Ma… se vuoi fare piazza pulita a Roma, pretendi che la classe politica si consegni al popolo senza nemmeno un filo di opposizione?
Pensate veramente che basta solo essere uniti nel lamentarsi dai divani di casa per cambiare le cose? Ebbene no. L’anarchia dei calci in culo alle autorità e ai politici, tanto acclamata fino a qualche settimana fa, è proprio quella che abbiamo visto tutti il 1° maggio a Milano, che piaccia o no. Ma ora siamo tutti moralisti che piangono e si lamentano per le vetrine delle banche che in 10 minuti saranno sostituite mentre la mafia e la sporcizia che infestano l’EXPO continueranno a guadagnare sempre di più nei prossimi mesi. I dati parlano di circa 26 milioni di pietanze che verranno servite da qui fino al 31 ottobre, ma ci saranno anche tonnellate di cibo scartato e sprecato. Alla faccia dei già dimenticati bambini del Nepal.
Fortunatamente la Juventus ha vinto lo scudetto, e ora via alla polemica sul numero complessivo dei campionati vinti dalla vecchia signora. Nepal e politica? Possono benissimo aspettare.
Pier Solzi