Ti ringrazio per l’invito ma, purtroppo, una recente quanto monumentale sbronza mi rende impresentabile e refrattario a qualsiasi contatto sociale. Ti prego di scusarmi.

Mi vien da dire “come al solito, sei inaffidabile” ma, per l’appunto, sapendo chi sei, sono curioso di conoscere quali sarebbero state le cause che, per l’ennesima volta, ti hanno indotto ad affogarti in un bidone di “pastis”.

Sei sempre il solito “caustico stronzo”, ma se sapessi…

Lo so… So… L’ultima volta che sei finito sotto il tavolo, vale a dire l’altro ieri, avevi un problema con una nobildonna boema vissuta tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, capirai…

Un tormento che ancora mi percuote, perché la malvagia mi ha tradito, donandosi a un miserabile cadetto della Famiglia imperiale e adducendo il fatto che, pure spiantato, vantava antenati “astori”. Tu sai come sono fatto e quando mi parlano per enigmi mi girano i coglioni e allora vado a vedere! In ornitologia risulta che quelle bestie lì sono imparentate con le “poiane”, volatili rapaci. Una banalità che ancor più mi fece mulinare attributi e cervice che, come sai, nel mio caso sono direttamente collegati. Sembra che questi predatori fossero di casa in quella zona dell’attuale Svizzera settentrionale che fa capo al Cantone dell’Argovia. E lì chi t’incontro? Niente “poppòddimmenocché” la “rocca dell’Astore”, cioè Habichtsburg, che per contrazione sarebbe a dire Habsburg. Fulmine a ciel sereno: Absburgo! Ti confesso che quando m’imbattei in questa serie di circostanze era già al terzo “giallino” e la mia fantasia incominciava a scavare sotto le mura delle rispettabili parvenze: Radbod d’Absburgo, il capostipite, fatto conte per meriti di spada, era canaglia intemerata e profanatore di regole e di femmine prolifiche. E fu così che gli “astori”, originariamente uccellacci di medie dimensioni e di rozza educazione, menala di qui e menala di là, si trasformarono nell’Aquila bicipite con residenza nell’Österreich, che diede al Sacro romano impero regnanti a tutta manetta. Insomma, un po’ come gli Agnelli in Italia i quali, bruca di qui oggi e bruca di là domani, alla fine ci hanno regalato il Lapo. Che a me mi piace, perché mi ricorda il Rodolfo II, inefficiente ma sublime esteta nel maniero di Praga. E la città magica dov’è? In Boemia, e il cerchio si chiude. Hai capito? Dirai: va be’, non farla lunga. Ti sei preso una ciucca e non vieni a pranzo da noi. Prendo atto e punto. Sarà per la prossima. Te ti capisco, perché sei ‘gnorante come una piastrella cotta male, ma vorrei che comprendessi il tormentato percorso che ora m’induce a declinare l’invito a mensa, perché da quelle parti lì, nei pressi del ponte di Carlo IV, oltre a colei che mi ha spezzato il cuore, a quei tempi c’era il mio amico Pepin Arcimboldo. Un milanesone della madonna, anche se non era di Porta Romana. Imbianchino irriverente e matto come un cavallo in fregola, s’era messo in testa che si poteva fare il ritratto della gente usando la frutta e la verdura. Diceva che i meneghini capiscono una sega e così, dai e ridai e uffa che barba, prese su le sue quattro carabattole e puntò all’Europa centrale.

Falla breve che ho la moglie che m’aspetta…

Va bene, ti do il finale, ma sappi che è colpa del Pepin pittore. Non già la donna agognata che mi pareva un’esplosione appetitosa di frutta e verdura. No! Lo stronzo mi ha mica ritratto l’amata “sembiandola” (non fare quella faccia da pirla, si tratta di una divagazione etimologica) alla primigenia peccatrice. Ti allego fotografia: Eva! Che alla bocca si sta portando il frutto proibito e dove già sul volto si manifestano i risultati del peccato. E poi, se proprio vuoi saperla tutta, mi chiedo perché sto qui a perdere il mio tempo con uno che di arte non capisce un cazzo. Ciao.

Beppe Cerutti

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