Nel ventesimo anno dalla morte di Charles Bukowski (marzo 1994). Gli rendiamo omaggio alla nostra maniera, così, con quel poco di cui siamo capaci.
Bukowskiana/1
L’assunto è questo: “Certi intellettuali… che invece d’avere la puzza sotto il naso dovrebbero preoccuparsi di quella che emanano loro…”
Cazzo, mi sento direttamente tirato in causa.
Non posso avere la puzza sotto il naso perché, in quanto tabagista, avverto vagamente le puzze ma non certo gli odori.
Tuttavia mi è stato fatto notare che puzzo.
Perché? Vediamo.
Fumo come una ciminiera e i miei abiti lasciano una traccia inconfondibile anche sui marciapiedi.
Sono un alcolista conclamato è il mio alito ne risente pesantemente.
I punti precedenti, messi insieme, favoriscono una sgradevole sudorazione ascellare che ricorda la cipolla.
Inoltre, provando una forte repulsione nei confronti dell’acqua, mi lavo poco, con il risultato che dietro le orecchie emano vaghezze di formaggio stagionato.
Per non parlare di quella zona corporea genericamente definita come “i lombi”, ma che avvolge un davanti e un di dietro innominabili. In genere la gente volge lo sguardo altrove.
Infine in piedi i quali, poveretti loro, rappresentano la sintesi popolare dell’insolenza olfattiva.
Però “io” sono quel “certo intellettuale” che se dice che il tal libro, la tal pittura, la tal pellicola, sono cose buone, nessuno si tura il naso e il mercato ne risente favorevolmente.
Bukowskiana/2
Primo o poi le persone muoiono, è risaputo. Capita però che non sempre la dipartita avvenga secondo le attese. C’è chi aspetta nel proprio letto di spegnersi come una candela, altri che auspicano per se stessi “un colpo e via”. Alcuni hanno messo in conto di poter morire sul luogo di lavoro: la stanchezza favorisce la distrazione e se guidi un pullman finisci in un burrone, se lavori in ferriera puoi finire nel grande calderone di metalli fusi a mille gradi. I disgustati della vita, con i nervi a pezzi e la mente che cerca pace, si buttano nel fiume oppure dal balcone, altri s’impiccano con la corda che serve per stendere la biancheria.
Comunque vada, la morte è sempre un affare serio. Ci si pensa e si cerca di prepararsi.
Avevo un amico, un compagno di sbornie, che faceva parte di questa ampia categoria di persone: analista a spanne della propria personalità, osservatore corrotto dai vizi verso l’esterno, impenitente ozioso, sapeva che prima o poi sarebbe morto. Sapeva che sarebbe morto nell’indifferenza della gente che gli stava intorno, così come lui lo era stato ai funerali di molti conoscenti. Le sue attese, però, erano altre: gli sarebbe piaciuto morire così com’era nato, tra le gambe di una donna.
Nei suoi confronti la sorte fu benigna.
Beppe Cerutti