Ero un pessimo lettore di libri gialli. Perché? Mi sentivo sempre come un imbecille quando già a pagina 99 di tutti i “crimen” di questo mondo l’investigatore aveva capito chi era l’assassino.

Io no! Neppure quando alla fine della vicenda mancavano sì e no cinque righe!

Ne trassi alcune acute conseguenze, tipo “col piffero che il giallo è un romanzo d’intrattenimento.” E di conseguenza maturai il convincimento che gli scrittori (per non dire delle scrittrici!) che si dedicano a questo genere letterario avessero tutti quanti menti contorte come cavatappi. A loro non gli fregava una sega di chi è il cattivo! “Quello che interessa a ‘sti mentecatti è rovinarti il rientro a casa. Perché se devi fare sette fermate di metropolitana, oppure un’ora di sudore su un mezzo extraurbano, che fai? Ti metti a leggere la Divina commedia?! E loro, i bastardi, lì ti vanno a colpire! Che si tratti dell’ispettore Callaghan oppure di Nero Wolfe, di Hercule Poirot piuttosto che di Marlowe, cazzo, sempre quando sei in orario di punta, quelli lì hanno capito il problema. E tu come fai?!”

Riflettevo anche sopra un altro fastidio, finalmente sbragato sul divano: perché quando piove, nella ressa, c’è sempre una testa di cetriolo che parcheggia la punta del suo ombrello dentro la mia scarpa? Oppure, perché alla fermata di Porta Romana sale la donna dei miei sogni e neppure mi degna di uno sguardo? Certamente è una spia… Porca troia… quelli lì che scrivono sanno chi è il malvagio e io no! Una frustrazione da far rizzare il bavero della giacca e, ricordo, mi sorgevano istinti omicidi e non tanto perché il libro giallo lo tenevo sollevato fin sopra i capelli, quanto perché un figlio di puttana ladro baro assassino ubriacone nonché magazziniere, non avendo nient’altro di meglio da fare mi faceva capire a gomitate di abbassarlo un po’, il libro, così avrebbe potuto leggere anche lui! Parassita! Però mi accorsi allora che con il tizio ci stavo viaggiando da tempo immemorabile e che aveva sempre letto a sbafo mentre faticavo come un somaro tenendo il libro ben alto sopra la testa.

È buffo ripensarci adesso, a distanza di anni passati dietro le sbarre.

La cosa nacque a questo modo e mi rendo conto che sto uscendo dal seminato, però sono un tipo che sa stare al mondo. Chiesi: “Secondo lei chi è l’assassino?”

Rispose l’approfittatore: “Già ci vedo poco, se me lo tiene su là per aria, come cazzo faccio a saperlo!”

“Ma almeno s’è fatto un’idea, considerato che è da giugno che annusa la mia ascella?”

“Senta, visto che siamo amanti del genere, che ne direbbe di scoprire chi è quel bastardo che c’infila l’ombrello nelle scarpe?”

“Bazzecole, è quello lì che scende a Rogoredo…”

“Lei mi procuri l’alibi e io l’uccido.”

“Ma è pazzo?!”

“Lo guardi bene. Pesa almeno 100 chili e occupa due posti. Un maleducato. Io esco con quello lì alla fermata di Rogoredo, gli do una botta in testa e intanto lei va avanti a leggere il libro, poi domani mi racconta il capitolo che mi sono perso, così c’ho l’alibi. Che gliene pare?”

“Una botta in testa?”

“Con la schiscètta, di quelle in acciaio modello trincea guerra 1915/18, tenuta stagna, forse un po’ vecchiotta ma che anche vuota ha il suo bel peso specifico. Guardi qua che roba!”

“Sto terminando un Agatha Crhistie…”

“Ecco, non faccia pirlate e legga attentamente, ché oltre tutto quella lì non mi piace. È la mia fermata. Mi raccomando, gnum gnum e acqua in bocca.”

Ero a pagina 99 ed Hercule Poirot sapeva chi era l’assassino. Io no.

 

L’uomo che pesava 100 chili era un pacifico padre di famiglia, rassegnato all’idea che avendo sposato una donna timorosa di Dio, non avrebbe potuto aver in casa altro che mobili in stile Biedermaier. La cosa non lo disturbava più di tanto e i figli gli davano soddisfazione: il primo, lettere a indirizzo filosofico, una laurea solida per fare il vagabondo. Il secondo ancora indeciso tra veterinaria e scienze politiche. Quando li stava tirando grandi, per la testa gli era passato che sarebbero potuti diventare buoni giocatori di rugby, poi l’ondulazione dei capelli prese le morbide forme materne, e allora si limitò a un sorriso compiaciuto e si mise a leggere libri gialli. Sulla metro c’era sempre qualcuno ben educato che gli cedeva il posto a sedere e spesso ne approfittava per guardarsi intorno. Aveva già notato quei due che lo scrutavano di sbieco, soprattutto nei giorni di pioggia: in coppia, sempre allo stesso posto in piedi, sembravano l’articolo determinativo maschile singolare “Lo” con maiuscola e minuscola, quello che si usa davanti ai vocaboli maschili singolari che cominciano con la “s” impura oppure con “gn” “z”, “ps” e “x”. Quello alto leggeva romanzi Mondadori comprati all’edicola, l’altro, il bassotto, sbirciava in punta di piedi. Lui invece sfoggiava edizioni di gran classe in lingua originale: vuoi mettere la raffinata neozelandese Edith Ngaio Marsh in inglese? Godeva come un satanasso riccioluto a infilargli il puntale dell’ombrello nelle scarpe, ma sapeva anche che per questo avrebbero tentato di ucciderlo.

 

“O” scese a Rogoredo, infagottato dentro il solito loden colore gatto grigio d’Abissinia con pelo di volpe sintetica al collo.

“E lei lo seguì…”

“Sì, vostro onore, l’idea del colpo in testa con la schiscètta non mi convinceva del tutto, così pedinai il carnefice senza perdere d’occhio la vittima.”

“E poi?”

“Quando mi resi conto che il killer esitava decisi di agire: gli strappai di mano il sacchetto contenente la schiscètta e tra il brusco e il lusco sferrai il colpo. Uno solo e rimasi stupito dell’effetto. Però, vostro onore, chiedo le attenuanti. Non potevo sapere che la moglie del mancato omicida quel giorno gli aveva preparato la minestra e che dentro il contenitore, oltre ai residui della brodazza, vi era anche un pesante ginocchietto rosicchiato. Se a peso aggiungi peso, si sa poi come va a finire, ma la prego di cancellare la premeditazione. Della presenza del ginocchietto non ne sapevo nulla.”

Beppe Cerutti

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