In un posto che abbiamo ancora l’abitudine di chiamare “le nostri parti” vi è un cimitero non più grande di un fazzoletto. In un angolo di terra non consacrata, in disparte, riposano i resti mortali di un uomo che in vita era conosciuto come il “tenore sconcio”.

Un soprannome coniato dal parroco ma immediatamente accettato anche dagli scomunicati. Il primo perché inorridito dal contenuto delle romanze dispiegate in ore notturne e irriverenti della pubblica decenza; i secondi per altre ragioni, ma non meno giustificabili, perché compresero infine la paura di Asterix e soci nei confronti di Assurancetourix il bardo.

In adolescenza manifestò una forte inclinazione verso la lettura, passando però dalla bucolico visione di Topolino alla più conturbante e meticolosa verifica de “Le Ore”, frutto di cattive frequentazioni.

Toccò al parroco verificarne per primo un aumento progressivo della miopia.

Verso i diciotto anni già portava occhiali le cui lenti erano spesse come il culo di una bottiglia bordolese. Non perse però l’immaginazione e laddove non poterono più arrivare gli occhi morbosi, subentrò l’orecchio musicale. L’esordio è datato anni Cinquanta, con la parodia della celebre canzone, Magic moment’s, scritta da Burt Bacharach con parole di Hal David e cantata da Perry Como. Chi conosce la versione originale con la fischiettata iniziale non avrà difficoltà a riconoscersi nella seguente libera traduzione: “Me giri de chi me giri de là, me grati ‘na bala, megic moment. Ooh megic moment.”

Un passo più in su ed ecco Mozart con la Sinfonia n° 40 in G minore K 550: “Signorina non mi rompa la palle, ma consulti le pagine gialle.”

Roba goliardica che faceva storcere il naso solo a quei genitori con figliole in età di fregola. Poi però la cosa si fece più spessa, perché il “tenore sconcio” mise nel suo repertorio lunare testi e musiche che andavano a turbare un consolidato sentire collettivo. Dal Duca di Mantova del Rigoletto (“La donna è zoccola qual fica al vento”) al sacro T’adoriamo ostia divina (censura) fino alla Bandiera rossa che la trionferà sui cessi pubblici della città, anche i più tolleranti cominciarono ad avvertire qualche fastidioso prurito, a partire dai Fedeli alla linea, che tramite il ciclostilato ufficiale della sezione, distribuito settimanalmente per le strade cittadine, iniziarono l’opera di demolizione del vagabondo notturno: “Il tenore sconcio è stonato”.

“Ancora una volta il dogmatismo rosso si accanisce verso gli sprovveduti, che invece devono essere riportati sulla via della ragione attraverso la generosa opera cristiana delle nostre apposite case di cura”, scrisse indignato il direttore del settimanale della Curia.

Un volantino clandestino, ma di chiara ispirazione anarchica, propose ipso facto l’impiccagione degli autori dei suddetti articoli.

Come sempre succede dalle “nostri parti”, dopo aver detto la loro, i tanti indignati si rivolsero ad altri fatti degni di analisi, come per esempio la potatura di un tiglio che invece si sarebbe dovuto abbattere perché ammalato: “Ma andiamo, siamo logici. Quella pianta restava in vita soltanto perché il tenore sconcio andava a pisciarci addosso nelle notti di sbronza.”

Il tiglio e il tenore sconcio sono stati fortunati, sono morti insieme.

 Beppe Cerutti

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