Da anni il titolare della “Bottega delle parole” s’era abituato alle frequentazioni insulse. Prima ancora che il campanello della vecchia porta a vetri tintinnasse, aveva già inquadrato il personaggio: un altro neologismo in preda a qualche dubbio. Il più delle volte si trattava di grigi burocrati al servizio del ministro di turno, con l’incarico di escogitare il termine adatto per mascherare una nuova stangata in arrivo; in altre occasioni e in tempi più recenti si era affacciata qualche figura dall’aspetto giovanilistico e con smisurate ambizioni anglofone. Nell’uno come nell’altro caso, noiosi venditori di fumo alla ricerca di un convincente marchio di fabbrica da poter inserire tra i vocaboli della prossima edizione di un qualsivoglia dizionario.
Immaginate il sussulto che ebbe quando si trovò davanti, senza aver udito il protocollare avviso del batacchio, un’ombra che gli suscitò un immediato giochino di parole: “Un tipo con l’aspetto del topo di biblioteca”. E neppure di primo pelo, almeno a giudicare dall’incarnato tendente al palliduccio.
“A occhio e croce lei mi sembra un sostantivo maschile in cerca d’identità”, disse distogliendo gli occhi da una banalità stampata degli anni Sessanta con pretese neorealistiche.
“Sì signore, ma in questo momento sono anche, soprattutto direi, un aggettivo un po’ frastornato e anche, se crede, un participio passato”, rispose lo straniero con l’aria di un cane bastonato.
“Mi dica, dunque.”
“Innamorato.”
“Cazzo! Erano secoli che non mi capitava un caso del genere! Si accomodi e mi racconti con parole sue.”
Beppe Cerutti