Alle esequie parteciparono alcune migliaia di persone, comprese le rappresentanze sindacali delle feconde fabbriche presenti in città. E altro, di cui diremo in seguito. Per avere un’idea della portata del triste evento, rammentiamo che il perimetro comunale raccoglieva all’anagrafe, appunto, alcune migliaia di residenti.
L’accesso al Tempio dovette venire regolato dalla forza pubblica la quale, tuttavia, poco riuscì a fare per dare ordine alla piazza e alle strade confluenti. Ad eccezione delle osterie, le saracinesche dei negozi erano abbassate a lutto e al ramingo straniero che chiedeva ragione di sì tanta folla in un giorno feriale, inequivocabilmente visi contriti, anche femminili, rispondevano: “È morto il Turgido!

In vita, il morto, aveva fatto di tutto per scrollarsi di dosso l’ambiguo soprannome. La madre, ancorché spossata dalle dolorose fatiche del parto, ma già disgustata da quanto le era stato riferito, impose al casato che l’infante sarebbe stato educato all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. Da par suo il morto, in vita, diede il meglio di sé per non deludere la volontà materna. Una laurea in ingegneria teologica, laddove inoppugnabilmente si dimostrava l’impossibilità di edificare la torre di Babele. Una laurea in letteratura a indirizzo filosofico con una tesi su Leopardi e l’estetica. Ulteriori titoli accademici conseguì riflettendo (nero su bianco) su chimica, scienze vegetali, sociologia artistica, medicina e anatomia, etica greco-romana, storicismo luterano e sistemistica gnoseologica. Nel tempo libero mandava a memoria l’elenco telefonico di New York.

In vita, il caro estinto, diede lustro alla città ammantandola di una cultura forse immeritata, ma che di sicuro portò beneficio alle casse dei commercianti ognuno dei quali, vendesse quartini di vino o quarti di bue, poteva millantare una qualche confidenza con il “Turgido”.
L’inusitata aneddotica non mancò di suscitare la curiosità della stampa e dell’intelligenza culturale internazionale: troppo stridente era il contrasto tra il ponderoso bagaglio accademico del chiarissimo cattedratico e l’indiscutibile morbosità implicita nell’epiteto.

Alla fine la verità venne a galla. In tutta la sua umana banalità. Nel tempo in cui il morto apparve alla vita era d’uso che il testé nato venisse esibito in ignuda cotenna alla verifica paterna: “Maschio”, disse la levatrice con un sorriso compiaciuto. “Turgidus”, aggiunse il padre con prosopopea latina indicando il pisellino eretto e dando di gomito all’allegra combriccola di amici. “Turgido sia per sempre!”, ribadì il coro.

La levatrice raccontò poi la storiella alla sorella che, cosparso il viso di un pudico rossore, la riferì al marito che, già di suo purpureo per altre ragioni, ne parlò all’osteria frequentata da cavallanti vagabondi i quali, neanche a pensare che si facessero i cazzi loro, propagarono la fabula agli urbani et anco a li orbi: “Convivalium fabularum semplicitas”, tenne a precisare il rubicondo taverniere. Al volgo non rimase altro che prendere atto, ancora una volta, che tentare di competere in originalità con i ricchi recenti e gli aristocratici antichi era soltanto tempo perso: “Quelli ne sanno una più del Diavolo!

Oltre che dal popolo, le esequie furono partecipate dalle rappresentanze consolari dei principali Paesi europei, con annessi insulari, ed americani, nonché del Giappone e dell’Australia. Il segretario cittadino del Partito comunista italiano fu delegato ad esprimere il profondo cordoglio dell’Unione sovietica e dell’area del Comecon. Inoltre, dettaglio tutt’altro che trascurabile, il bolscevismo della prima, seconda e terza Internazionale accreditò la delega e fu così Acciaio si ritrovò in prima fila accanto al sindaco e alle massime autorità. “Un campo di inutili papaveri”, pensò il prelato celebrante con turibolo e garzoni al seguito. Ma non si fece intimorire e nell’omelia ribadì con vigore il dovere dei buoni cristiani di prendere a modello il turgido esempio del compianto fratello…
Fulgido, eccellenza, fulgido esempio… Cazzo!” disse il sagrista rischiando la scomunica.

Beppe Cerutti

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