Di mestiere faccio l’insinuatore. Sono riconosciuto come un serio professionista e per questo vengo ben retribuito. A mio modo sono un romantico, perché so cogliere l’essenza delle bolle di sapone, quel riflesso di luce cangiante che dura quanto un battere di ciglia. Mi basta un “si dice che” e subito mi metto al lavoro, anche quando il sussurro sembrerebbe benevolo: è una brava persona.
Ecco, io m’insinuo tra le brave persone e cerco di farne emergere tutti gli aspetti positivi. Fino ad esasperarli, perché sono certo che saranno altri, non io, a dire “sì, però…”
Da quel momento il mio lavoro è tutto in discesa, perché m’indigno che qualcuno possa mettere in discussione l’onorabilità della persona che devo distruggere. “Si spieghi, che cosa intende con quel suo dubbio?” Il resto viene da solo: “Mah, si dice che…” Ribatto: “Ma se è soltanto per quello, anch’io ho sentite alcune meschine cattiverie, come, per esempio, che…”
Ciò che conta, nel mio lavoro, è ricreare l’atmosfera solidale: distinguere il grano dal loglio, ben sapendo che il loglio è anche tossicologico: non attecchisce, ma se rimane sul granito, a lungo andare emette cattivo odore.
Beppe Cerutti