Il singhiozzo non è una cosa da prendere sottogamba, soprattutto se si fa parte di una banda dedita al crimine e che, nell’angolo più buio della più sordida bettola del porto di Malaga, stava pianificando il prossimo colpo, che di sicuro sarebbe stato quello del secolo. Il gruppo basava la propria coesione su di un credo che sfiorava il fideismo: non importa quanto si ruba ma come si ruba.

Una questione di stile. Nulla deve essere lasciato al caso e per arrivare alla perfezione bisogna lavorare duro, allenarsi con abnegazione in spirito e corpo: ragionare all’unisono e muoversi al buio con la stessa precisione di un cronometro svizzero. Insomma, qualcosa di simile a quella che, in psicologia, viene chiamata empatia. Tra i vari metodi utilizzati per affinare i sensi, era stato stabilito che i membri della squadra si sarebbero ritrovati una volta alla settimana per giocare a puzzle, in ambienti oscuri quando non bendati.

Un rompicapo di per se, e ancora di più se la ricostruzione dell’immagine doveva essere eseguita da più mani e in pessime condizioni di luce. Come è risaputo il numero delle tessere varia dalle poche decine alle svariate migliaia. La banda stava lavorando attorno alla figura della Sagrada Famìlia, qualcosa come tremila pezzi da incastrare l’uno nell’altro.

Ora provate a pensare al povero Arturo (nome di battaglia) che, nel preciso momento in cui sta per assemblare (finalmente) una tessera all’altra, viene colto da singhiozzo: gli scappa la mano e almeno trenta centimetri quadrati della facciata vanno a “darvia‘lculo”. E adesso che vi siete fatti un’idea, provate a pensare alla reazione del resto della banda. Qual è la morale che se ne ricava? Se le guide turistiche vi suggeriscono di non frequentare locali malfamati, credeteci. Basta un singhiozzo e si scatena l’inferno, ve lo dice il vostro affezionatissimo Arturo.

Beppe Cerutti

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