Che uno poi dice “ossignur, che cosa ci vuole?” ma a guardarci bene giocare al fùtbol non è poi mica così facile come dicono. Per esempio, quelli che adesso fanno gli insegnanti a scuola, fin da bambini erano delle schiappe patentate che anche il prete si vergognava e così, per non restare fuori del giro, si sono improvvisati commissari tecnici. Che poi, a voler cavillare, il fùtbol è anche una questione di linguaggio. Un altro esempio? Il mio vecchio professore di Fisica, che mai in vita sua aveva sfogliato una pagina della Gazzetta dello Sport, quando ci sentiva chiacchierare di “sfere inattive” subito si chiedeva dove il buon Einstein avesse potuto sbagliare.
Andiamo avanti? La professoressa d’italiano, una spacca marroni che se non sapevi il participio presente del verbo dare ti toglieva il saluto, se captava per caso che la suddetta sfera era finita in “fallo laterale” drizzava le antenne e sgranava gli occhi: “Ragazze attenzione, perché comunque lo si giri, un fallo, anche se laterale, non è mai inattivo bensì subdolo.”
Va be’, in casi come quello citato si trattava di messaggio criptico, che però dette origine al calcio femminile. Sì dirà che è una battuta squallidamente allusiva, ma la guerra dei sessi l’ho mica inventata io! La filosofia fatalistica c’insegna che la palla, oltre a essere rotonda, è anche mobile qual piuma al vento, muta l’accento ed il pensier, eeed il pensier.
Ora è risaputo che il pensiero e la traiettoria sono quasi sinonimi e se il calcio di punizione lo tira Guzman Segundo, col cazzo che quel pallone il portiere lo becca: dentro morbido all’incrocio dei pali, che in gergo si chiama il sette. Che poi era anche il voto in condotta che mi prendevo io tutti i santi giorni. Ma questa è un’altra storia.
Beppe Cerutti