Il cappello serviva a coprirgli il viso. Tracce di vaiolo, il taglio degli occhi lungo e stretto come se fosse una ferita indesiderata. Che pur guardare gli piaceva e anche annusare i colori. Le labbra. Mai nessuna donna si sarebbe accostata alle linee sottili ed umide del diavolo. Zolfo. Di suo ci metteva sigari pestilenziali e un trench che sembrava la caricatura di un maiale a caccia di ragazzine.

Era un agente segreto. Stava fermo in mezzo a una strada avvolta nella nebbia, dietro le spalle un lampione che gli allungava l’ombra, quasi a sfumarla. Il selciato umido e rumori di underground che salivano dal sottosuolo.

Mi guardava e si accese una sigaretta. E poi ancora fermo, immobile. Anch’io lo guardavo, trepidante, perché sapevo. Ogni secondo pareva un secolo. Poi parlò: “Ragazzo, o con ‘sto cazzo di romanzo giallo andiamo avanti, oppure mettiti a scrivere poesie.”

Beppe Cerutti

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